PIEVE

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POLAROID

lunedì 4 febbraio 2008

L'ECISTA

A Crotone l’ecista tornò 2748 anni dopo e si incazzò di brutto. Il mare, avvicinandosi non era viola, le increspature torpide e come oleose, e dov’era il profumo pungente del salmastro? Quando vide gli edifici enormi sparsi dappertutto emergere dalla foschia l’umore era già compromesso e la rena sporca su cui velocemente si appoggiarono le prue delle navi gli fece schifo.
La città bianca circondata dai boschi che ricordava era sparita: colline sventrate vomitavano un fango argilloso, e una folla indescrivibile occupava una strada lungo il mare. Nulla era come doveva essere, pensava guardando i compagni interdetti e esitanti.
Si lanciò per primo, mentre dalle navi disposte a ventaglio, una ogni 100 metri, i guerrieri prendevano terra dispondendosi in file serrate e i flauti cominciavano a battere il tempo, e donne e bambini sulle spiagge battevano le mani indicando con gesti felici e sorpresi le vele rosse, i costumi bellissimi, gli scudi che lampeggiavano al sole. Si fece largo tra la folla, attese che lo raggiungesse un vecchio che indossava una specie di toga, parlarono tra loro brevemente: nel gruppo di donne che li attorniava Maria Siclari veniva da un paese in cui si parlava ancora greco e le parve di distinguere alcune parole, le sembravano strane eppure familiari, con troppe “e” , ma “anghelos” e “thanatos”, quelle le udì proprio. Messaggero, morte. Il consigliere comunale Brancati, di opposizione, si appoggiò alla balaustra sulla passeggiata a mare e prese a scrivere furiosamente sul retro del grattino che aveva in tasca il testo di una interrogazione urgente con risposta scritta su quell’iniziativa evidentemente organizzata a sorpresa dall’Assessore alla cultura. Adesso pareva che tutta la città fosse accorsa a vedere.
Ci fu silenzio, i flauti tacquero, tutti trattennero il fiato nel vedere una splendida giovenca bianca, le corna adorne di nastri, calare imbragata dal ponte e poi, liberata, dirigersi placida verso il vecchio.
“Arrivano dal mare, come a Cervia!” disse rivolto agli amici un giovane, soddisfatto di far sapere a tutti che lui a Cervia non faceva solo il cameriere ma assisteva anche a spettacoli importanti, come quello teatrale che si ripeteva ogni anno sul lungomare.
L’ecista estrasse la spada dalla guaina: un “ooh!” di meraviglia si alzò dalla folla sorridente. Sorrideva anche lui. Diede un ultimo sguardo circolare sulla città orribile. E puzzava, anche; poi sempre sorridendo si diresse verso un gruppo di uomini cominciando a correre e lo attraversò sempre correndo facendo mulinare con grazia la spada: rotolò una testa, delle grida brevissime accompagnarono corpi che scivolavano a terra, un braccio, isolato, disegnò sulla sabbia un elegante ghirigoro, il rosso si insinuò tra le vesti grottesche dei caduti, e l’ecista era già sulla strada. Apprezzò l’improvviso silenzio, ed anche le urla stridule subito dopo. Senza bisogno di ordini i gruppi di guerrieri si rivolsero per primi contro gli assembramenti di uomini vestiti tutti allo stesso modo, pensando giustamente si trattasse di soldati. Cominciarono con quelli addobbati di nero, una striscia rossa sulle brache, e fu così che i locali carabinieri, tutti in servizio sul lungomare per il mercato del giovedì, vennero quasi completamente trucidati nei primi minuti. Nessuno riuscì a mettere neppure mano alle armi, e ci fu chi si fece docilmente tagliare la gola a bocca aperta per lo stupore. Un momento di confusione tra i guerrieri fu provocato dalle auto, ma ci misero poco a capire che bastava usare lo scudo per infrangere i vetri e tirare fuori le persone dentro come pesci da una nassa. I servi con le torce seguivano dappresso e trovarono con grande divertimento inesauribili esche per gli incendi che andavano appiccando: nessuna città conquistata così facilmente bruciava così bene.
Tra mucchi di cadaveri e il fuoco che divampava i guerrieri instancabili con ansiti brevi inseguivano e falciavano, inseguivano e atterravano. L’ecista si arrampicò dove ricordava una volta, in un altro tempo, in un altro mondo, che fosse il tempio di Era. Al suo posto una scatola enorme, sgraziata, intorno rifiuti, macerie, sporco ovunque: erano le proporzioni delle cose, a ferirlo, le dimensioni fuori scala, la numerosità, il troppo. I barbari si erano impossessati della sua città, ignari di armonia e bellezza.
La curiosità e l’ingegno di un greco sono inarrivabili: trovarono presto come rendere più veloce la distruzione completa. Della città non restò quasi nulla, degli abitanti solo quelli che erano fuggiti. Raccolsero le donne sulla spiaggia e ne scelsero le migliori. Schiave fortunate, avrebbero conosciuto la civiltà e la bellezza.
Il sacrificio della giovenca fu seguito da una rapida partenza. La bestia fu una macchia candida sulla rena grigia: e le navi nella caligine sfumarono una dietro l’altra, dirette ad altri ritorni.

2008, inedito

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