PIEVE

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POLAROID

domenica 14 febbraio 2010

IL SENSO DELLA POLITICA

Il breve testo che segue risponde in modo forse troppo semplificato e risentito ad una serie di domande sul senso della politica, ed è apparso sul numero 6 de L'Arsenale delle idee, assieme a molti altri contributi (tra cui quelli di Gianfranco Fini, di Claudio Burlando, di Roberto Formigoni, di Barack Obama). Ne fanno le spese i partiti politici, i loro dirigenti, i loro sodali.

Come rispondere in modo convincente e logico a domande tanto impegnative? Domande in cui si riassume lo smarrimento e lo scontento di tanti di noi, semplici cittadini, amministratori, gestori, politici, posti di fronte ad una generale caduta di senso, di stili di vita, di prospettive.
La prima risposta che mi sorge sulle labbra è dunque che le domande -ognuna se accolta singolarmente in grado di richiamare l'attenzione su un problema che cerca una soluzione- legate tutte assieme presuppongono troppo dagli interpellati e forse scontano già in anticipo quel senso di impotenza che ci coglie davanti a compiti troppo complessi.
Ritengo che non debba essere questo l'esito perchè sono convinto che basti per dipanare una matassa così aggrovigliata cominciare da pochi fili.
Il primo e più importante credo sia quello delle forme del fare politica, dei sistemi di aggregazione e organizzazione: insomma dei partiti.
I partiti: oggetti ingombranti che dovrebbero essere ripensati ed avviati ad una dolce estinzione. Macchine di sostegno, difesa e promozione di interessi, nate nella seconda metà dell'ottocento per dare sostanza alla conquista di forme di rappresentanza democratiche, ma nate quando il sistema della comunicazione e dei media quale lo conosciamo oggi non esisteva, nate quando gli interessi che si facevano valere erano sostanzialmente economici e dunque eredi in qualche modo anche dei precedenti meccanismi di difesa e tutela delle corporazioni e dei ceti.
Oggi costituiscono il principale ostacolo al pieno dispiegamento di forme di democrazia basate sulla partecipazione responsabile e attiva- se pur mediata- dei singoli cittadini alla gestione della casa comune. Divoratori di risorse pubbliche ma più ancora intercettatori implacabili dell'impegno informale ma tanto più convinto ed efficace di chi ritiene di collaborare per la comunità, bloccano filtrano e selezionano il personale politico e creano quei guasti a catena che ben conosciamo: la politica come professione, la politica come separatezza rispetto alle forme del vivere quotidiano, la politica come arroganza.
Ridefinirne il ruolo come semplici momenti di raccordo e comunicazione e riconoscere viceversa l'apporto decisivo delle aggregazioni informali, dei comitati, insomma dei gruppi a geometria variabile, nati magari per affrontare un singolo problema, ancorati alla dimensione locale, quella riconoscibile della vita di ogni giorno, ma capaci di evolversi di proiettarsi su scala nazionale o globale se messi in rete e interconnessi: ecco, io penso, la sfida che dobbiamo porci.
Non è il mito di una democrazia da internauti ma un ritorno indietro, un salto nel passato. reso possibile da nuovi strumenti, per fare un balzo verso il futuro.
Ed ecco che intorno a questa sollecitazione si raccolgono almeno parte degli altri problemi e delle domande che ne nascevano: ne sortirebbero il ruolo dei media ridefinito e ridimensionato, l'etica riportata con naturalezza in primo piano (e non per proclami che ci inducono al sorriso e al sospetto), l'arena in cui dispiegare il proprio impegno e su cui esercitare la propria attenzione e vigilanza ravvisata senza difficoltà in quella immediatamente intorno a noi, il nostro quartiere, la nostra città, l'ambiente in cui viviamo, i servizi pubblici che adoperiamo, il nostro lavoro: e da lì, per generalizzazioni successive, per collegamenti a relais con gli altri, partire per affrontare il mondo e la sfida della modernità.
E così anche la domanda su come si forma una classe dirigente sfuma nell'evidenza della risposta: la classe dirigente, per quanto riguarda naturalmente la politica in quanto tale,non si crea, non si alleva, si forma dal basso: e solo chi fa politica mantenendo lo stretto rapporto con la propria professione e il proprio posto di lavoro (che si sia liberi professionisti o operai) anche se debba per un certo periodo rinunciarvi, solo chi sa che non avrà altro compenso che quello dell'ultimo stipendio, solo chi sa che non potrà dedicarsi a tempo pieno ed in via esclusiva alla politica per più di un mandato, solo chi si troverà in tale situazione e nonostante ciò senta di poter dare un contributo alla politica (“le cose della città”), solo costui sarà libero e consapevole “dirigente”.
La semplicità spesso è compito difficile. E non ignoro che questa provocazione nel prendere le mosse da una situazione di fatto che pare non aggredibile, in cui decine e decine di migliaia di persone trovano una fonte di guadagno, di potere e di identità ipotizza uno scenario negli esiti ultimi di tipo rivoluzionario, anche se non violento (ma le uniche rivoluzioni che riescono sono appunto quelle non violente). Soprattutto presuppone una messa a punto ex-novo di tutte le articolazioni dell'amministrazione pubblica per garantire comunque una ordinata gestione di quel sistema complesso e delicato che è uno stato moderno. E in fondo presuppone anche un ripensamento di quella distinzione, anch'essa ottocentesca, anch'essa apparentemente di senso comune, tra politica e amministrazione, tra gestione e indirizzo politico, tra i massimi sistemi e la banalità del vivere in società.
Tutto vero: ma se non vogliamo che il disgusto e il disinteresse che la gente comune (che non ha nulla in verità di comune: milioni di persone in Italia lavorano con gli altri e per gli altri, praticando ogni giorno quei “valori” di cui troppi parlano) prova nei confronti della politica e del ceto politico crescano sino ad infettare il paese, è necessario avere il coraggio dell'impossibile.
In questi giorni si celebrano i vent'anni dall'abbattimento del muro: un caso impossibile, una rivoluzione pacifica che ha azzerato di colpo non solo una classe politica e dirigente ben più pervasiva della nostra, ma un intero stato. Lo spirito del mondo sa rivelarsi attraverso modi imprevisti. Penso che occorra assecondarlo con intelligenza e prudenza.

Pubblicato in L'Arsenale delle idee, numero 6, 2009