PIEVE

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POLAROID

lunedì 26 dicembre 2011

Una Crociera

E' il 21 agosto del 2011. I casi d'Italia volgono al peggio. Il sistema finanziario ed economico mondiale si avvita in recessioni e crisi sempre più frequenti nel tentativo di dimostrare ai neoliberisti che Marx aveva proprio ragione. La guerra di Libia si sta concludendo in una penosa imitazione del bellum jughurtinum, con Gheddafi che appare e scompare: la storia si ripete incessante. E' il 21 agosto, e partiamo sotto un'ondata di calore che pare proprio in tema con una fuga - una fuga da un paese che muore per liquefazione, dal lavoro di ogni giorno, dalle piccole noiose questioni, dalle paure dei malati, dalle ansie, dalle burocrazie.

"E' una bellissima idea,facciamolo" dissi in tono convinto, senza rendermi ben conto di quello che stavo facendo. Era una bella giornata di luglio e la Lunigiana splendeva di colori e l'aria era fresca ed io mi sentivo in quel preciso momento forte e avveduto e sagace come un cinghiale dei boschi intorno alla casa.
"D'accordo. Sarà una crociera per rilassarci. Bagnetto, calette, e ogni tanto la vela se le condizioni lo consentono in piena sicurezza" disse Dario.
Io costellavo di "bellissimo" ogni pochi secondi la sua esposizione del programma e la descrizione della barca e l'illustrazione delle meraviglie che ci attendevano e per meglio esprimere il mio entusiasmo non lesinavo in mugolii di adesione incondizionata.
"L'importante è però che tu stia bene. Devi arrivare al giorno della partenza nelle migliori condizioni e poi mantenertici per tutta la durata della crociera".
Mi resi conto che qualcosa si era messo di mezzo a intralciare il moto perfetto degli ingranaggi dei desideri degli impulsi degli appetiti che girano a pieno ritmo per produrre quasi nulla.
Il fatto è che se Dario mi avesse proposto una marcia a piedi nella foresta amazzonica seguendo un certo percorso che consente di sopravvivere ai ragni ai serpenti e ai coltivatori abusivi di alberi della gomma o mi avesse suggerito una vacanza su uno dei satelliti di Saturno avrei detto subito di si, e il tono entusiasta della mia risposta dipendeva da questo gioco di confrontare e misurare cose possibili ma non realizzabili in uno scambio frenetico di voglie. Che poi lui ogni tanto realizzasse i suoi desideri di lunghi viaggi o di esplorazioni davvero , cioè nella realtà e non nell'immaginario non cambiava nulla nel mio stanco narcisismo, che gode a figurarsi il mondo come se io ne facessi parte: un Tin Tin tra gli indiani, tra i berberi, sulla luna, in ogni possibile combinazione e ruolo e sfondo.
Guardai meglio Dario. I baffetti vibravano, le sopracciglia erano rilevate e tese, l'occhio era concentrato su di me ed esprimeva non semplice interesse o convinzione ma desiderio di aiutarmi e al tempo stesso il riflesso di un ancestrale modo che hanno i siciliani di prendere un impegno e di vincolare al rispetto del contratto - in quel momento lo vidi scritto sul suo volto chiarissimamente- ,un baluginare della pupilla che si fa a tratti ammonitrice con un'ombra di minaccia.
Diceva sul serio. Io come un pollo avevo detto di sì. Le sue uniche vacanze tanto attese e preparate le aveva vincolate con generosità ad un idiota malato, forse piu' idiota che malato.
Francesca e Mavi erano presenti, ma mentre Mavi aveva senza dubbio avuto modo di parlarne prima con Dario e dato il suo consenso a quella pericolosa proposta che metteva a rischio anche le sue vacanze, Francesca rimase sorpresa, compiaciuta e se non contraria, fortemente perplessa. Combattuta tra il desiderio di stare tra amici cari a godersi il mare e il sole di Sardegna e la paura di rovinare l' unico momento di pace e intimità a due persone che fanno parte del ristrettissimo club degli umani in cui si riconosce.
Ma non disse niente. Mi mando' segnali di avvertimento con le sue occhiate ma io avevo dimenticato il codice e solo dopo capii che lei sapeva dal primo momento che Dario parlava sul serio e che io non l'avevo capito.
"D'accordo, allora" ripeté Dario ed io che mi ero reso conto troppo tardi di quanto fosse grande il suo gesto, fatto con quella che Della Casa chiamava sprezzatura e che solo un gentiluomo siciliano sa elevare oggi ai livelli dell'arte, io mi sentii certo investito di una grande responsabilità' ma soprattutto mi scoprii soddisfatto e felice. Poi - ma dopo vari giorni- preoccupato e ansioso. Poi commosso.
Checché se ne dica il mio egoismo è inclusivo. Ho impiegato quaranta anni per capirlo. Per spiegarmi meglio senza scomodare la psicologia del profondo, ebbene sì sono un porco egoista e me ne vanto, ma proprio perchè lo sono e non mi avvolgo in chiacchere per negarlo, dirò' che del mio io e del mio mondo esclusivo fanno anche parte, o meglio fungono da elementi costitutivi, le persone, pochissime, cui voglio bene, le cose, poche, cui sono legato davvero al punto di non potermi neppure pensare se privo: che so, la Grecia, una canzone rebetica, il mio cane. E prima le persone, poi le cose, sono semplicemente me, sono io. Non sarei io senza Francesca. E neppure senza Dario, lui più di un fratello.

Mi ritrovai cosi' dopo anni a tornare in barca e a fare precisamente quella crociera che avevo progettato, preparato, voluto, studiato e naturalmente mai realizzato. Con naturalezza e semplicità, per un caso, per volere di due amici che sapevano cosa rischiavano.
Io invece ci misi del tempo anche solo a capire che non stavo tanto bene e che forse non sarei stato in grado neppure di dare una mano alle manovre e così rientrai nel mio mondo fantastico e mi guardai intorno e vidi rovina imminente e politici corrotti e incapaci e crisi mondiale e trovai una soluzione di fuga letteraria: ed eccomi accolto,mentre nel 1348 la peste infuria, tra i pochi gentiluomini e gentildonne che in una villa fuori Firenze schivano malattia e morte mentre il mondo barcolla e loro, giù' a raccontarsi storie e a dar vita al Decamerone.
"Le medicine? Le hai prese?" fece Francesca.
"Ricordati di venire a fare le analisi prima di partire" rincarò Mavi.
Era passato qualche giorno e c'era sempre modo di risospingermi nell'universo delle cose che accadono, mentre io acquistavo montagne di cose forse indispensabili per un giro del mondo ma non certo per due settimane ad agosto in Sardegna. Ora capitano Achab ora vecchio marinaio greco continuavo a dimenticare che sulla barca ce ne sarebbe stato uno solo e non ero io.
Agosto tra Filetto e Malgrate si insinuo' dolcemente come se sapesse cosa fare di noi, del tempo che passava, di un cambio di stagione che suggeriva appena infischiandosene di Tremonti Bossi e Berlusconi. Porto' con se' come al solito i compiti per le vacanze che le burocrazie occhiute e malvagie danno da fare ai sudditi prima di chiudere e di andare loro in vacanza, nei casi di grande successo personale sussidiati da ricche tangenti e puttane dette escort nella neolingua che desta ribrezzo giusto e sacrosanto nei pochissimi italiani rimasti: parcelle, fatture, intimazioni, minacce, sentenze esecutive, cartelle esattoriali, sfracelli. Io meditavo sulla storia d'Italia e godevo all'idea che dalla tassa sul macinato alle mille di oggi cambia solo il nome e che forse questo era il modo migliore di celebrare i centocinquanta anni della infausta nascita di un paese inesistente e mi consolavo figurandomi le cose più improbabili che sarebbero certo accadute durante il nostro assalto alle isole della Gallura.
"Mi raccomando. Occhio. Non esagerare col cibo. Devi star bene" mi ripeteva il siciliano e se l'avesse detto nella sua lingua sarei rabbrividito anche se era Dario.
E mi perdevo in malinconie che erano molto in tono con le prime nebbie che salivano dalla Magra e non ero più' un prode marinaio ma un vecchio che riandava indietro col pensiero a ricordare le cose belle che aveva vissuto e le mettevo coscientemente in fila, Birko il mio primo cane (che rischiò, di rimanere l'ultimo perché' era pazzo), la mia gatta Sally che faceva le fusa, la prima volta che ascoltai la Sagra della primavera, la prima volta che affondai dolcemente nella vagina del mio primo amore in una demenziale Austin A 40, la prima volta che scoprii con sommo stupore a Cotignola che le mazurche non le ballavano solo nei film di John Ford e che i cappelletti al ragù erano una delle otto prove dell'esistenza di Dio e la prima volta che feci l'amore con Francesca dopo che mi aveva svuotato la casa e trasferito d'imperio nella sua e la luna brillava attraverso la tenda, Percy cane poeta che saltava sul letto, Serifos e Sifnos nel primo viaggio con Francesca e via affondando in un mare di prime volte che mi lasciava senza fiato, e mi costringeva a pensare che tutto è una prima volta e che è questo per dirla con Cummings il banale privilegio di essere vivi, e allora mi fermavo e cominciavo a pensare poesie (di quelle ne posso secernere a chili,come l'ape di Marx) e poi Dario tornava e mi riprendeva per la collottola mentre volteggiavo felice e mi poggiava delicatamente sul pavimento e poi faceva un risotto.

Si avvicinava il momento. Studiavo il manuale della fotocamera stagna a prova di Antartide che avevo acquistato per la perigliosa avventura, il funzionamento della lampada a led che perfora anche un carro armato a due chilometri di distanza, come diavolo si aprissero le due giacche tecniche che avevo acquistato e rimiravo estasiato i sacchi impermeabili che fanno piattaforma oceanica e che avevo ramazzato in quantità da tutti gli shipchandler di La Spezia e che - devo riconoscerlo - erano l'unica cosa il cui  azionamento era semplice.
Tra gli sguardi di compatimento di Francesca andavo accumulando montagne di roba: radio ad onde corte, radio a manovella in caso di fine di mondo civile, VHF portatili insommergibili, coltelli bussole da rilevamento e libri sufficienti ad uccidere una persona. Normale, si intende. Li elenco perché il lettore può rendersi conto direttamente, senza che glieli dica io, di quanta perversione sia capace un ultrasessantenne molto malato convinto di essere un diciottenne con tutta la vita davanti e con ubbie da letterato.
Sono un liberale? Saggi di John Maynard Keynes.
Tutti i romanzi di Fitzgerald.
Uno dei volumi della storia d'Italia di Montanelli.
La meteo en mediterrané di un gruppo di meteorologi di Meteo France
60 partite da ricordare di Fisher
I problemi della filosofia di Bertrand Russell
Il corsaro nero di Salgari
E poi un libro sull'uso del sestante, portolani, libri sui nodi, manuali di rotta, tra cui il Mancini, riviste, i supplementi culturali dei principali giornali e una penna USB con dentro manuali e testi di sociologia della comunicazione.
Fu inappellabile la sentenza che emise Francesca: niente libri di scacchi perché mi sarei dovuto portare la scacchiera e niente filosofia perché il mio cervello temeva con qualche ragione potesse andare definitamente in tilt.
Dario si divertiva un mondo a mantenermi eccitato: corsi il serio rischio di acquistare un Epirb e un telefono satellitare, utile nel caso i venti ci trascinassero in un punto del Mediterraneo non coperto dalla rete o in caso di assalto dei pirati. Rinunciai alle armi da distribuire all'equipaggio molto a malincuore.
"Eccoci" disse Dario, maledettamente puntuale, e finalmente partimmo e io non potevo acquistare più nulla ma solo assistere desolato allo scarico completo di quello che avevo diligentemente (così pensavo) già stivato sulla Land Rover e alla sua sistemazione da parte di una implacabile Francesca. E sbarcati a Olbia dopo essere partiti da Piombino ci troviamo a Cannigione alle nove di sera e io salgo per la prima volta su una barca talmente lunga e larga da lasciare sgomenti, dotata di una ruota così grande che sembrava quella del famoso dipinto in cui Teghetoff dirige dalla sua corazzata la sistematica triturazione della flotta italiana a Lissa.
Lo so, la metto giù leggera e ironicamente e per fare sorridere - di me innanzitutto- i lettori di questo breve resoconto, ma sapevo che il dramma era in agguato e poteva esigere ad ogni momento i suoi crediti imprescrittibili. Tanto vale dirlo subito, senza rispettare l'ordine rigoroso di un giornale di bordo che non sono mai stato capace di compilare decentemente. Il primo problema, provocato da me come è naturale, faceva parte di quelli eroicamente messi in conto da Dario e per cui era attrezzato: mi ammalo. O meglio, una crisi improvvisa mi porta un febbrone che mi stende tra gli sguardi preoccupati dell'equipaggio.
" Sono i pomodori" disse Francesca. Francesca è convinta che i pomodori siano contro natura e che per i malati di fegato siano pericolosissimi.
" Fanno male per gli acidi urici" rimarcò garbatamente Mavi e tutti mi guardarono scuotendo la testa tristemente. Ora, con i problemi che ho io, l'acido urico non era mai stato menzionato come un fattore di rischio specifico, ed un brivido mi colse al pensiero che ogni volta che è stato preso in considerazione un singolo elemento si scopre che va tenuto sotto controllo e contrastato. Non  è lontano, lo so, il momento in cui mi diranno compunti che non posso mangiare più nulla ed io morirò di fame invece che per colpa di un fegato marcio.
Sta di fatto che tutto il 27 agosto rimango bloccato in cuccetta. Gli dei benevoli per fortuna fanno coincidere  il giorno con del cattivo tempo che comunque ci avrebbe tenuto in banchina.
Il secondo problema si insinua invece subdolamente al termine di una bellissima giornata di mare, il 30, quando abbiamo già da qualche giorno ripreso ad uscire, riuscendo anche, il 28, giorno in cui il tempo ricomincia a ristabilirsi ed io emergo dal letargo indotto dalla febbre, e i miei piedi riassumono forma umana da salsicciotti che erano, a fare una gita nell'interno, superando Tempio Pausania, visitando lungo la strada un insediamento dell'alto Medioevo con i resti di un castello in un bosco ombroso in cui massi di granito paiono spuntare dal terreno all'improvviso, simili a sculture aliene, e poi fermandoci a cercare un gruppo di costruzioni nuragiche di cui troviamo solo la capanna delle riunioni, e all'improvviso i contrafforti di una montagna si stagliano davanti a noi, e saliamo sino a mille metri e tratteniamo il fiato davanti al panorama al tramonto, in alto, in alto, sulla sommità dei monti della Limbara. E come talvolta felicemente accade si rinuncia al programma e si gode dell'imprevisto.
La Land non è felice, è vero, perché non siamo riusciti a mettere alla prova le sue doti da fuoristradista con il percorso di 24 chilometri tra boschi e sterpaglie e massi e cinghiali infuriati che Dario aveva studiato, ma la compensiamo con uno sterratino e molte blandizie e promesse.
Ma torniamo al 30. Decidemmo di evitare le Bocche e di puntare verso la Costa Smeralda, per arrivare a Tavolara, e tutto fu splendido: partenza alle 11 a motore e poi motore più Genova appena messo il naso fuori Capo 3 Monti. Sfilammo lungo la triste ostensione di lusso e povertà di spirito e miseria intellettuale di Porto Cervo e dei suoi yacht consolandoci ammirando la scabra e rugosa aridità di isole come Mortorio e Mortoriotto, i cui nomi richiamano un' altra Sardegna, priva di umani vocianti e rombanti su ridicoli e pericolosi motoscafi d'altura. Tavolara campeggiava come un torrione inespugnabile, una immane roccia scagliata da un Dio furente che forse sapeva che sarebbero arrivati in un futuro lontano ma prossimo, troppo, Berlusconi, Briatore, Lele Mora e i tristi accoliti e ammiratori e le cortigiane.
Alle 14 e 50 eravamo alla fonda a Punta Pietra. Davanti Tavolara ergeva il suo profilo arcigno,in una cuspide di rocce a strapiombo. Io sentii ancora una volta coronato il sogno di una vita e preso il via il mio cervello cominciò a figurarsi gli stessi posti nei mesi,lunghi, in cui i turisti volano agli insediamenti di origine in stormi compatti, mentre io di baia in baia, solitario e bastevole del poco avrei errato tra le isole. Mi fermai quando per primo mi resi conto che questa era effettivamente un pò grossa e che lontano più di 100 metri da un supermercato francamente non potrei sopravvivere.
Dopo circa un'ora ripartimmo mettendo la prua a nord con un vento che andava rinfrescando, stabile sui trenta nodi e davanti a Porto Cervo, tanto per far vedere cosa è capace di ammannire, così, su due piedi, soffiando con raffiche sino a 40 nodi. Tangos rispondeva da par suo senza scomporsi e così, giocando tra sbuffi e spinte, e ondate respinte con disdegno ci portò nello splendido golfo di Arzachena e infine a Cannigione davanti al nostro ormeggio in banchina.

Erano le otto e mezza. Il dramma covava maligno nella serata splendida e serena.
Non c'era più nessuno ad aiutarci dello staff, ma il vento era dolcemente calato e spingeva a favore, rendendo l'ormeggio facile, per quanto facile sia ormeggiare un battello lungo 14 metri. Dario fece una manovra inappuntabile e Mavi e Francesca raccolsero le cime di poppa che ci vennero lanciate mentre Dario correva a prua per prendere il cavo di ormeggio collegato alla trappa.
Tutto bene, dunque? Proprio no. Io, che a meno Dario mi incarichi espressamente resto di riserva, mi accorgo malauguratamente che la cima di poppa a sinistra assicurata provvisoriamente sulla bitta essendo per il momento non regolata è completamente lasca ed è sott'acqua, con il motore ancora acceso anche se in folle, pronto a dare indietro per contrastare il vento che ci spinge in fuori.
Dovete sapere che la manovra di ormeggio è un balletto complicato, che quando avviene di poppa si vena di sottili tinte isteriche per la difficoltà e la delicatezza. Su una barca lunga 14 metri e pesante parecchie tonnellate la cosa assume caratteristiche tali da rendere preoccupato e oltremodo nervoso il responsabile della manovra. Il quale ha in testa una procedura fatta di passi ed eventuali rimedi che sceglie nel repertorio delle manovre e tutti devono necessariamente rispettare alla lettera le indicazioni e gli ordini ricevuti: qualunque iniziativa personale correttiva in caso di errore è assolutamente vietata per evitare un groviglio inestricabile di altri passi e contropassi. Insomma solo il comandante è abilitato anche a sbagliare e a dare gli ordini necessari per rimediare.
E dunque iniziò il balletto con l'equipaggio che volteggiava con aria sapiente tra un punto e l'altro della barca, ed io osservata la cima in acqua e il motore acceso rividi le eliche impiccate e i motori che si spegnevano per colpa delle cime assassine e sull'ultima mia barca l'errore che avevo fatto io e il sommozzatore che avevo dovuto chiamare per rimediare, e decisi senza chiedere nulla a Dario impegnato a prua di tesare la cima e lui tornò in pozzetto proprio mentre per fare ciò io avevo liberato dalla bitta la cima e pensando che non avessimo ancora fissata saldamente come che sia il cavo mi abbaiò una serie di imprecazioni ed io ad allo stesso tono di voce tentai di rispondergli e lui ancora più incazzato perdette definitivamente la tramontana e se la prese con me e poi con il resto dell'equipaggio, assolutamente incolpevole.
Costernazione di tutti: io rinuncio per il momento ad ogni tentativo di spiegazione.
Ora un momento di riflessione è necessario per capire la tempesta ormonale e umorale scatenatasi improvvisa come la tempesta nel Guglielmo Tell. Dovete sapere che in questo equipaggio l'unica persona davvero normale è Mavi, un angelo che non meritiamo: io sono pazzo e immaturo e sempre più simile a un Don Chisciotte rincoglionito che stravede e scapisce, Francesca è permalosa come un gatto arrabbiato e ombrosa come un cavallo selvaggio e Dario sotto la patina di civilizzazione e gli sforzi di pazienza in genere riusciti resta un siciliano, in cui cova nascosta la fiamma di un taciturno ed enigmatico assassino. Mavi, al centro di questa costellazione, brilla come una promessa di pace e buon senso. E fortuna che non ci ha potuto accompagnare il  mio pugnace fox terrier perché morto.
"Vi faccio una proposta: andiamo stasera a mangiare al ristorante?"
"Perchè no? Se gli altri sono d'accordo..."
Avevo da tempo manifestato l'intenzione di offrire una cena al comandante e alla sua signora ma invece di aspettare l'ultima sera mi parve una buona idea anticipare per allentare un pò la tensione. Eravamo arrivati tardi e all'idea di apprestare una cena anche semplicissima in barca mi balenarono visioni di grugni selvaggi e indecorosi silenzi. La risposta arrivò dopo una lunga esitazione, uno sguardo bieco, e i puntini di sospensione alla fine erano sufficienti a riempire una pagina, ma alla lotta a chi è più paziente e diplomatico sono imbattibile e così andammo all'Hotel del Porto e dopo ottimi antipasti e una gallinella extrasize con le patate eravamo tutti più tranquilli, ma io continuavo tra me e me a rimuginare su quello che era accaduto e l'illuminazione mi arrivò all'improvviso come la Madonna quando decide di flesciare qualche sventurato (femmine in genere, chissà com'è): Dario era incazzato come un bufalo soprattutto perché il nostro battibecco ad alta voce era avvenuto alla presenza di gente in banchina e dato dunque l'impressione di una manovra confusa e pasticciata. Ogni tanto mi dimentico che per un siciliano fare una figuraccia è peggio che venire torturato dalla Cia..

Avrei dovuto fare l'ufficiale di rotta e tenere aggiornato il giornale di bordo: destinazioni, rotte, condizioni meteo, punto nave etc. ma tra il mio disordine congenito e il gps che ti situa in un battibaleno sulla carta con un margine di errore insignificante oggi ogni aura di ritualità negli arcani armeggi con bussole da rilevamento, compassi, squadrette nautiche, carte è scomparsa, e le connessioni Internet consentono quasi ovunque lungo le coste di seguire in tempo reale come evolve la situazione meteo. Addio spasmodici ascolti dei bollettini per radio, addio tuffi al cuore quando il canale 16 scandisce "securité, securité". E restavo imbambolato al tavolo da carteggio. E Dario beffardo mi guardava ogni tanto. E dunque i miei appunti si sono trasformati in una pappa indistinta di segni che dieci minuti dopo non riesco neppure a decifrare, redatti senza capo né coda. Ma come si conviene a un intellettuale io facevo lievitare nella mia testa impressioni, foto mentali (quelle vere facevano schifo: ho dimenticato di dire che avevo portato con noi materiale sufficiente ad allestire uno studio di posa) di giornate indimenticabili, e nonostante la debolezza e l'abilità di una tartaruga ubriaca mi riconciliavo col mare, riacquistavo il piede marino, constatavo con soddisfazione che il mal di mare era sempre una roba che non mi riguardava anche se infilato dopo pranzo sottocoperta in un gavone puzzolente a stomaco pieno, e soprattutto imparavo da Dario come si conduce una barca grande e impegnativa, anche se il suo baffetto vibratile mi ingiungeva ammonitorio di non fare nulla, di non toccare nulla, a meno che non me lo chiedesse lui.
Direte che una persona normale, che comunque ha fatto esperienze di navigazione leggera per decenni, deve soffrire per forza a tali limitazioni: se pensate così non avete capito nulla. I poteri assoluti dello skipper sono cosa buona e santa, sono il fondamento di quella minuscola società che si forma per mutuo consenso e che sino a che non si scioglie ricade sotto il potere assoluto e insindacabile del capitano, revocabile solo con l'ammutinamento e l'assassinio. I teorici del potere monarchico ammettevano la deposizione del tiranno. Il capitano Bligh può essere abbandonato su una scialuppa in mezzo all'oceano, Carlo Stuart può essere decollato, Dario ogni tanto lo avrei visto volentieri appeso per i piedi in cima d'albero ma la verità è che in navigazione la responsabilità totale di uno solo allevia gli altri, li libera da ansie paure e insicurezze ed io sentivo la mia testa leggera più del solito, e le mie fantasie galoppavano festose nelle praterie del verosimile senza il fastidio di doversi misurare col principio di realtà, e insomma godevo a godere.
Persino Francesca cui ogni imposizione, ordine, comando provoca l'immediata trasformazione in una tigre dai denti a sciabola si sottoponeva alla dura disciplina senza protestare, anche se lo sforzo titanico implicava di default un malumore selettivo, concentrato in una serie di dardi che venivano scagliati capricciosamente indovinate contro chi.
"Tsk, tsk" articolava dopo avermi trasformato in un dolente San Sebastiano, e guardava i miei piedi con disgusto, tanto per farmi sentire uno dei mostri di Freaks.
"Hai visto Mavi come si sono gonfiati?" rincarava con ferocia, e la Santa assentiva paziente e mi guardava con compatimento.

Ma a parte queste sotterranee dinamiche quasi tutti i giorni si aprivano su una luce incantevole, il vento si alzava, e noi con lui ma più tardi, e si usciva e si faceva vela e poi bagni voluttuosi e le donne si alternavano alle manovre con impegno e crescente perizia e le sere erano deliziose a cenare in quadrato e a chiaccherare stanchi e rilassati se non fosse per gli occasionali soprassalti della belva, semplici ruggitini però, tanto per schiarirsi le fauci.
Torno dopo un giro tortuoso al punto da cui ero partito: il giornale di bordo, la memoria delle cose accadute.
Siamo stanchi, è sera tardi, siamo arrivati a Cannigione, in fondo al golfo di Arzachena,è il 21 e io vedo il Grand Soleil 46 per la prima volta e ci salgo timoroso: è la prima notte e tutto mi sembra smisuratamente grande. Cenammo indolenti in una specie di pub sulla via principale che affaccia sul porto.
Quella notte sognai di essere su Galadriel, la mia prima barca, uno Jouet 22 che mi pareva grande e la quintessenza del lusso nautico e che rispetto al Grand Soleil su cui ero faceva la figura di un insetto. Ma era la prima barca: ed eravamo con Sergio Bertolucci, il mio socio di allora, nel golfo del Messico, ed io nel sogno mi svegliavo ed andavamo col pilota automatico di notte a vele spiegate e intorno a noi c'erano molte altre barche e noi che puntavamo allegri e spediti contro degli scogli. Io prendevo il timone e correggevo la rotta e poi di nuovo a dormire ma su tutto il lato di dritta, dove era la mia cuccetta, le luci avevano smesso di funzionare e mentre cercavo di capire cosa era successo avevamo spiaggiato e continuavamo ad andare lisci come l'olio sulla renna gialla nel primo mattino, e poi ce ne andavamo in paese -non c'era la mia prima moglie ma Francesca, e Sergio-, un paese pieno di vita e colorato e in un bar uno pieno di tatuaggi in un gruppo di italiani (non è necessario sognare per trovarli dappertutto) attacca discorso grugnendo da dove venite? e la risposta deve essere stata  talmente difficile che mi si srotola nel cervello rapidissima la visione di tutti i posti da cui provenivo prima dopo adesso e mi sveglio.
Faccio sempre sogni di barca in barca. E di viaggio in viaggio e così via, in una specie di gioco con la realtà che ho appena vissuto. O forse è il contrario, quelli sono ricordi, e sto sognando adesso. Il vescovo Berkeley sarebbe orgoglioso di trovare uno picchiatello come me per scambiare due chiacchere su realtà, percezione, sogno e illusione. E comunque Galadriel in Messico non c'è mai stata e oltre l'Elba neppure ed è affondata malinconicamente (ogni tanto penso che si è suicidata) per una mareggiata, all'ormeggio a Le Grazie, però con la bandiera al vento, che custodisco gelosamente.
Del 28 e del 30 ho già detto. Ma la prima giornata, il 22, è quella che marca l'inizio dell'avventura e che al di là di prefigurazioni immagini mentali aspettative mi conferma nella luce gloriosa del primo mattino che il mondo è indicibilmente bello e che la zona delle Bocche e il suo dedalo di isole scogli baie e ridossi richiedono un sacrificio agli dei: e depongo così sull'ara ogni altro pensiero, mi libero anche solo del ricordo delle cose da fare, delle persone da contattare, delle case da gestire, del giardino da innaffiare, allontano con un calcio la realtà della mia vita, mi riempio la testa di quel nulla luminoso e profumato e così, predisposto all'eterno, mi appresto a rinascere.
Esagero, naturalmente, la società ha comunque mille modi, alcuni subdoli, per far valere le sue pretese: e così dobbiamo fare cambusa e decidere insieme su dove andare nel pomeriggio, e fare acqua e controllare la barca, e le sirene dell'economia di mercato non appena transito nella via principale son lì a flautarmi inviti irresistibili ed io come Ulisse cerco di tapparmi le orecchie.
Scopro subito che non ho tappi e che quello è davvero un mare periglioso: per quella volta mi trattengono i compagni,tra divertiti e impietositi.
E, lo confesso: un filo resta, a legarmi tenacemente con   la banalità di quei maneggi che si chiamano politica. Ogni giorno, come un drogato in astinenza, erro per le vie alla ricerca di giornali. Ebbene sì: due, tre, quattro giornali, e riviste, le più improbabili, con l'arcigna edicolante di Cannigione che alla fine mi dispensa sorrisi beati...

Dunque, primo giorno: e fatta cambusa e controllato tutto usciamo per un bagno e arriviamo a Caprera e diamo fondo a Cala Portese. Il granito è caldo e colore del sole che si avvia al tramonto, ma è ancora presto e come facevo una volta mi tuffo dalla barca e l'acqua è salatissima, fresca, e tutto intorno un paradiso e, sì, lo ridico, mi pare di rinascere. Le nostre mogli si stendono voluttuose a prua e cominciano a fare provvista di sole come gli scoiattoli di noci per l'inverno.
Attendo che il comandante decida di spiegare le vele: per il momento, visto il poco tempo, si va a motore.
Il 23 decidiamo di andare all'Asinara, diventata Parco nazionale e da qualche anno visitabile anche se, per fortuna,con molte limitazioni. La traversata è lunga e partiamo alle 10 e mezza. All'inizio si va a motore, che senza sforzo, con un borbottio sommesso, ci fa fare 6 nodi e mezzo. La rotta è per NNE e punta verso l'isola di Santo Stefano, da cui procederemo verso Est. Alle 11 siamo al traverso di Capo d'Orso e la luce sfavorevole impedisce di fare belle foto della gigantesca figura che dà il nome al capo. Superiamo Punta Sardegna e Punta Marmorata e verso le 14 in acque libere prendiamo la rotta per 250 gradi che ci porterà a destinazione.
Io prendo confidenza con gli strumenti e soprattutto con le mappe e con la frastagliata geografia e mi godo i tanti nomi di isole, scogli secche e baie che adesso posso situare sulla carta e vedere se mi affaccio in pozzetto. Mi perdo in fantasie e sogni e la barca va, ancora a motore, e tutto è pace e in vista dell'Asinara i delfini ci accompagnano e ci salutano.
Dario chiede per telefono alla direzione del parco una boa dove ormeggiarsi (non è possibile usare l'ancora)e invece che alla grande cala di ingresso, la Reale, ci mandano ad una baietta dietro punta Trabuccato, sempre sul lato dell'isola che guarda verso oriente, l'unico dotato di approdi e ridossi.
Arriviamo alle 18 e 40 e prendiamo la boa e ci prepariamo per la notte e un miracolo si verifica, questa volta davvero, e non solo nella mia fantasia: una mano pietosa ci toglie dal mondo e ci depone su un altro pianeta, interrompendo le connessioni per i telefoni e i computer, lasciandoci soli in un silenzio smisurato, e la notte svolgendo su di noi un cielo stellato mai visto, con le stelle come punte di aghi brucianti nel nero di un buio pauroso, e Mavi e Francesca vedono una stella cadente che improvvisamente screzia quel nero: io resto in silenzio, con la testa finalmente vuota, quasi libero, intimorito e incredulo. Certo felice.
Dario, anche lui parla poco, forse memore di notti così splendenti ed oscure viste in altre vite, nella sua Sicilia.
Io in genere mi alzo presto, prima di tutti, ma la mattina del 24 il comandante è già in pozzetto e mi racconta che nelle prime luci dell'alba ha visto non solo i prevedibili assembramenti di capre e di asini attraversare la baia, ma una fila di cinghiali che forse facevano jogging e si muovevano a ritmo perfetto: il primo si fermava ogni tanto di colpo e tutti gli altri, senza il minimo ritardo, facevano altrettanto. Li immaginavo, al suo racconto, come ballerini che fanno figure di danza cinghialesca: stop, zampa destra sollevata, e tutti gli altri lo stesso, e poi via caracollando e stop, zampa sinistra, e così via.
Colazione, bagno, finalmente prima veleggiata con poco vento, e cambio di ormeggio, in una baia vicina, sempre alla boa. Per le due notti paghiamo circa 30 euro agli addetti che ci accostano con un gommone e ci lasciano una guida del Parco.
Dario telefona, ogni tanto la linea funziona, alla cooperativa che gestisce i percorsi guidati e il primo pomeriggio, puntuale, un Defender 110 ci viene a prelevare sulla spiaggia cui arriviamo con il tender. La nostra guida si chiama Fabrizio e pare competente e paziente (dote essenziale, visti i turisti predatori e ignoranti che capitano ogni tanto)e il giro ci porta dal paesino a diverse strutture carcerarie e poi attraverso la macchia sino ad un colle a 400 metri di altezza. Ci illustra le specie botaniche e animali, la storia dell'isola e del carcere, i meccanismi di gestione e recupero delle acque. Lepri, pernici, falchi: non riusciamo ad avvistare mufloni, ma l'escursione è interessantissima.
Le cene in barca sono semplici e alla buona: nonostante la cucina sia quella di un appartamento evitiamo di perderci in preparazioni, cotture, etc., tranne naturalmente il giorno in cui sono stato male, in cui un delizioso sugo ai frutti di mare, preparato da Dario colto da pietà per me che imploravo, ha accompagnato degli spaghetti e si è fatto mangiare da loro, mentre io avevo la febbre a 39 e restavo in cuccetta.
Dovete sapere che da quando i medici mi hanno imposto una dieta che praticamente elimina tutto, tranne saltuarie e ragionevoli eccezioni (che comunque non riguardano i fritti, i grassi, il burro, il maiale etc. E naturalmente vino ed alcolici) non faccio che pensare a come sono buone le cose che non posso mangiare, e così a tavola pur  convincendo gli altri a non limitarsi creo una leggera tensione che Mavi cerca di smorzare con dolcezza, Dario con autorevolezza e Francesca sbrigativamente.
"Bhé, se vuoi morire, fai pure" mi dice, oppure: "Ti prendo una badante e fai quello che ti pare".
Quello della badante è un leitmotiv ricorrente tra noi e allieta simpaticamente i nostri amici, anche se ho avuto più volte l'impressione che il Comandante fosse ormai pronto a sbarcarci senza tanti complimenti o quanto meno a strozzarmi e abbandonarmi ai pesci.
Pasti semplici, dicevo. Mentre io tentavo di convincere gli altri che vivrei solo di insalata e pomodori e che se anche non fossi malato quella è la cosa che mangerei tra tutte, e intanto adocchiavo voglioso il salamino che Dario affettava, o il bicchiere da cui un vino bianco e gelato mi lanciava segni di invito, quel poco di raziocinio rimastomi mi costringeva ad ammettere che tutti, per non crearmi problemi, si erano limitati ad una dieta poco più ricca della mia, che lo stavano facendo per me, e che io ero effettivamente un pò stronzo.
Non sono mai stato bravo a mentire, e nonostante gli sforzi si notava che erano appunto sforzi, che mi sarei divorato un bue: c'è di bello che un pò di solidarietà maschile restava comunque attiva e ogni tanto, da vero amico, Dario mi faceva assaggiare punte infinitesime di qualcosa di vietato, concendendole come ad un cane affamato che seduto accanto al padrone lo guarda implorante con gli occhioni umidi. E mi lanciava un'ostia di salame, tra gli sguardi compunti di disapprovazione delle donne.

Ma torniamo al 25.
Si decise per Bonifacio. Un porto magico, a detta di tutti, nascosto e protetto da un fiordo lungo quasi un miglio. Io ero ansioso di vederlo e Dario e mavi, pur essendosi già stati, parevano contenti di tornarci.
La partenza avvenne prestissimo per le nostre abitudini e alle 7 e 10 avevamo già mollato gli ormeggi. Era necessario arrivare presto per trovare posto, visto il consueto affollamento. Il motore ci spingeva a oltre 7 nodi senza alcuna fatica, il tempo era bello, il vento maneggevole, la pressione dal momento del nostro arrivo non si era mossa. La rotta era per 62 gradi. Dopo circa un'ora avvistammo ancora delfini, un branco che volteggiava a lato della barca e ci accompagnò per almeno 10 minuti. Arrivammo dopo circa 40 miglia a Bonifacio alle 13 e 30, con le falesie chiare visibili già da tempo che ci guidavano come un faro nella notte.
Dario, chiamata sul VHF la Capitaneria, ci fece assegnare un posto tranquillo all'inizio del porto.
Bonifacio è una cittadina nata e cresciuta attorno a fortificazioni che da sempre la proteggono e al porto protetto da ogni vento e unico rifugio sicuro nelle Bocche. Traffici e commerci sulla punta meridionale della Corsica e controllo del passaggio tra la Corsica e la Sardegna, tutte funzioni che hanno dato un aspetto caratteristico alla città, ora un pò sfigurata dal turismo. Il ricordo della presenza della Legione Straniera, da non molti anni traferitasi, è presente dappertutto e garantisce un carattere francese ad un luogo che viceversa mantiene un fondo impescrutabile, con vie che richiamano i carrugi genovesi e l'architettura di impronta toscana.
Una passeggiata, salendo dal porto al paese con un orrido trenino per turisti (identico a quelli che si trovano a Lecce, come a Pisa, come a Parigi, e dunque inquietante come un replicante) ci portò sui bastioni e sulla visione dell'ampia baia sotto il castello, e della scala del Principe d'Aragona che precipita nel porto, e poi tra viuzze e qualche negozio di buon gusto sparsi tra i tanti dispender di paccottiglia per turisti.
Io, momentaneamente senza controllo, acquistai naturalmente una piccola vendetta corsa, coltelli affilatissimi per sbuzzare con agio i nemici, e l'album di Asterix in Corsica e mi sentii del tutto realizzato, e  poi sentito in barca il meteo che accennava ad una possibilità di pioggia mi convinsi che dovevo dotarmi di una giacca impermeabile. E per puro caso davanti alla banchina c'era uno shipchandler, con bei capi che mi guardavano dalla vetrina. Ed io, sventurato, risposi: come la monaca di Monza.
Il 26 si decise per il ritorno. Il tempo effettivamente prometteva un cambiamento anche prossimo, e dunque via alle 8 e un quarto del mattino. Già dopo mezz'ora issammo la randa con una mano, prudenza che non avremmo rimpianto. Dopo un'altra mezzora, alle nove e un quarto spiegammo il genova. Il mare era poco mosso, ma il vento si manteneva sui venti nodi stabili con raffiche sino ai trenta. Dirigemmo su Punta Marmorata. Tangos ci dava a tratti oltre 8 nodi di velocità con vele ridotte e messe a segno per una navigazione tranquilla e in poco tempo ci portò al passaggio tra Spargi e la Maddalena. Il vento rinforzava e superava quasi sempre i trenta nodi.
La giornata sempre bella ci indusse a tentare di dar fondo per un bagno nella rada di Mezzo Schifo, ad ovest di Palau, ma il vento eccessivo e il suo turbinare da tutte le direzioni rendevano difficoltosa la manovra costringendoci a rinunciare. Le rafiche ora superavano spesso i 40 nodi e solo arrivati all'ormeggio, nel pomeriggio ormai inoltrato, il vento cominciò a quietarsi.
Il 27 e il 28 era tempo decisamente brutto ed io ne approfittai come ho detto per ammalarmi di colpo in modo da non recare all'equipaggio turbamento e soprattutto, lo confesso, per non dare motivo al siciliano di fare il volto grifagno manovrando pericolosamente le sopracciglia. Furono tutti carini e pazienti, forse irretiti dal soave influsso di Mavi che con le sue alucce di angelo spargeva tranquillità e assopiva i violenti.
Dopo la gita nell'interno del 28, il 29 siamo pronti di nuovo ad uscire, e un pò a vela un pò a motore in tutto comodo arriviamo a Caprera e diamo fondo nella cala Garibaldi, non troppo affollata, e passiamo lì una giornata deliziosa.

Tralasciando il fosco 30 si arrivò al 31, ultimo giorno del mese. I foresti cominciano a svernare, noi ci prepariamo ad uscire dalla nostra comoda base. Il bel tempo pare ristabilito, la pressione è però risalita e annuncia il passaggio di un fronte caldo e l'approssimarsi di un nuovo cambiamento, come le carte in quota confermano. Si parte alle 11 e trenta con poco vento con la randa con una mano e il genova, ogni tanto smotorando. Passaggio a Budelli ma ancora troppa gente: dirigiamo su Santa Maria e diamo fondo alle tre meno dieci del pomeriggio a Cala Muro.
In genere a quell'ora io riemergo dalla cuccetta, dove mi rintano per un riposo pomeridiano che mi è divenuto necessario e che pare non alterare i delicati equilibri che si sono andati stabilendo e assestando. Sono sempre esitante tra il desiderio di dare una mano e la paura di essere di intralcio, e mi limito a fare le cose che mi dice Dario, che mi segue vigile e attento.
Alle 18 si riparte e dopo circa mezz'ora siamo all'ormeggio.
Il giorno successivo, 1 settembre, il tempo comincia a mostrare segni di cedimento ma il pomeriggio è sempre bello e ventoso e dunque si esce.
Francesca e Mavi ormai affiatate eseguono rapidamente e quasi automaticamente le manovre, io sono sempre più tra i piedi anche se ormai dopo quasi due settimane ho riacquistato se non la forza fisica la padronanza psicologica dell'imbarcazione della sua conduzione e dei miei muscoli, sollecitati nei posti più impensati.
Pace e tranquillità: e riesco a tenere lontane le cose da fare, a fare il vuoto nella testa, e se non fosse per quel bisogno residuo che mi spinge la mattina presto a prendere per gli altri paste e dolci che non degno di uno sguardo e a cercare giornali e notizie in modo nevrastenico potrei stare sempre in barca, senza uscire e fare nulla se non veleggiare, oziare, leggere i tanti libri che mi sono portato dietro.
Mi capita spesso di pensare che mai come in quest'anno di limitazioni crescenti e di malattia sono riuscito a fare vacanze e viaggi. Da Parigi all'Austria e adesso la Gallura in barca e in mezzo, tra un viaggio e l'altro, la campagna dove esercito con convinzione il mio ruolo di gentleman's farmer anche se mi mancano i cavalli e provvisoriamente anche i cani.
Dunque anche il primo settembre uscita e bagno a Cala Portese. Ne approfittiamo per rifare il pieno. Tangos consuma pochissimo ma comunque tra quarti di serbatoio sono pur sempre 128 litri.
Al ritorno ci siamo fatti furbi, e se il vento è eccessivo o sfavorevole per ormeggiare tranquillamente aspettiamo che si calmi, cosa che avviene sempre verso le sette di sera.
Si cena, stanchi, e come sempre le ragazze si mettono a giocare a carte, ed io e Francesca offriamo agli amici la solita gag delle medicine, in cui è previsto io faccia la figura del deficiente e Francesca minacci come al solito di affidarmi ad una badante. La malattia offre queste piccole soddisfazioni.
Il giorno dopo una sottile malinconia comincia a filtrare tra di noi: si avvicina la partenza ma le due ultime giornate sono animate dalla Perini Cup, una regata di barche a vela da sogno costruite dal cantiere per cui lavora Dario: mostri straordinari, tra cui spicca il Maltese Falcon, una nave di ottanta metri con tre alberi a vele quadre, in cui gli alberi ruotano e dai pennoni escono a comando le diverse vele, il tutto assistito da computer. Seguiamo la partenza e facciamo delle foto e benedico la pazza idea che ho avuto di trascinarmi dietro un obiettivo di 300 millimetri, pesante come un lanciarazzi. Quando sono passate e maestosamente si allontanano andiamo a fare il bagno a Liscia di Vacca, un altro di quei posti il cui nome, da solo, è capace di scagliarmi in orbita a immaginare avventure di mare.
Il 3 settembre è sabato. Partiamo alle dodici per Porto Cervo e assistiamo ad un'altra partenza e ad altre straordinarie evoluzioni della regata, il Maltese Falcon orienta le vele vicino a noi, e nel farlo intercetta ogni gradazione del bianco e del grigio sulle sue vele candide e sugli alberi splendenti, e a ogni cambiamento di rotta si ferma un attimo e poi, improvvisamente, si muove come se un soffio tutto suo lo spingesse, come se Eolo in persona lo spostasse di peso sull'azzurro del mare.
E' uno spettacolo indimenticabile.
Mavi e Dario festeggiano sempre il giorno in cui si sono sposati, e non dimenticano mai una data importante della loro storia insieme: io con loro mi sento sempre una bestia, spesso dimentico di anniversari, date importanti e simboliche e Francesca, dal temperamento non sentimentale ed anzi duro come quello di un guerriero, non mi viene in soccorso. Sovente coinvolgono gli amici e in quella occasione ci siamo noi: sarebbe il giorno successivo il loro anniversario, ma la cena che intendono offrirci ed offrirsi la anticipano alla sera prima, per poter domenica andare a dormire presto dopo aver sistemato tutto. Il traghetto partirà da Olbia alle 8 del mattino.

Lo Stazzu ci accoglie tra rovesci di pioggia, alla fine arrivata, tra olivastri mirto e cespugli odorosi da cui l'acqua improvvisa estrae profumi di macchia che ci  alitano tutto intorno.
Ci affrettiamo perciò ad entrare, bagnati come pulcini ed io per soprammercato ferito gravemente da un ombrello che si rifiutava di farsi prendere: le cicatrici di mille battaglie con spine di rosa, angoli feroci, punti di cucitrice, ombrelli fetenti disegnano ormai una splendida mappa sul mio corpo stanco.
Ma appena seduti dimentico della colluttazione con l'ombrello esprimo con semplice concentrata passione tutta la mia voglia di esplorare le tante vie di godimento che il menù ci mostra: in questi casi la salivazione aumenta a dismisura e una vena poetica si desta rendendomi gastronomicamente lirico ma mi limito con uno sforzo erculeo e Francesca pare soddisfatta di come mi comporto, ma straparlo di cibo, preparazioni, ricette e gli altri mi guardano con un'ombra di riprovazione.
Un antipasto leggero e gustoso mi fa finalmente tacere. Quando è il momento dei secondi Dario interviene per offrirmi consigli e sottili analisi di quello che, non posso non riconoscerlo, è un atteggiamento un pò da coatto.
"Vedi Luigi, tu ti concentri troppo sul cibo e su quello che non puoi mangiare. Devi darti una misura e accontentarti di quello che hai" fa Dario benevolo.
"Hai ragione, ma dovresti capire..." provo io a dire.
"Mangiare poco ti fa stare meglio" e gli altri assentiscono con cenni del capo "E poi il controllo è tutto" aggiunge Dario ed io non credo ai miei occhi quando non una porzione di porcetto (a questo ero preparato) si fa mettere nel piatto, ma due insieme in una sperlonga che trabocca di carni tenere come burro che lui aggredisce con energia,divorando con attenzione e scrupolo tutto, proprio tutto, e dispensandomi altri consigli di vita tra un boccone e l'altro, ed io mi sento  un affamato che occhieggia la pelle croccante, le piccole ossa spolpate con metodo, sentendo un profumo da campi elisii, mentre bofonchio che ha proprio ragione.
Insomma la cena è squisita e ad ogni buon conto anche io, per quanto mi è concesso, ne approfitto. Alla fine siamo tutti in pace e si chiacchera delle relazioni che ognuno di noi ha stretto nel tempo con l'altro o l'altra, degli anniversari, dei nostri matrimoni.
Francesca ama la tempesta e la lotta, da vero maschio mancato in un corpo e in un'anima da femmina altrettano vera, e l'atmosfera che rischia di diventare melensa decide di movimentarla con una serie di osservazioni che colgono il siciliano davanti a lei in contropiede. La discussione si fa ricca e articolata, poi serrata, infine si riduce ad un corpo a corpo tra lei e Dario che comincia a fumare come il suo vulcano, mentre la Santa sparge olio intorno alla barca per quietare le acque, ed io ascolto un pò divertito, un pò incazzato.
Alla fine i coltelli vengono riposti nei foderi, e i due porcetti calmano Dario, e Francesca dopo aver giocato a chi ce l'ha più duro lascia la contesa con suprema indifferenza.
Una cena indimenticabile anche quella, per il cibo, il luogo e l'appassionante controversia che ha assunto a un certo punto come tema di confronto la mia modesta persona, tapino che sono...
Il giorno dopo la realtà si incarica di richiamarci tutti a doveri impegni e problemi, che comunque ogni tanto avevano tentato, senza troppo successo, di aprirsi un varco anche nei giorni precedenti, ad esempio con la mamma di Dario che improvvisamente decide di stare male (lei, come anche mia madre un tempo, è in grado di farsi venire i mali più incredibili per alimentare il senso di colpa nei figli) e di finire in ospedale dove ovviamente provano ad ucciderla oppure con la straordinaria storia delle tasse che devo pagare in Grecia pena una multa salatissima ma che non posso pagare perchè l'Agenzia  delle Entrate greca non mi comunica il codice che devo citare.

Domenica, come previsto, lavoro e preparazione della Land che si stupisce di caricare più roba di quella che avevamo portato, e poi silenzio ma questa volta silenzio solo dell'anima, perchè una brigata di britanni cafoni peggio di un romano acquisito (i veri romani de Roma sono rimasti pochissimi e sono squisiti ed eleganti plebei)pensa bene di ululare alla notte, di ruttare risate sguaiate, di emettere borborigmi e cachinni ad altissimo volume, impedendoci di dormire e profanando la calma e la pace del luogo.    Ancora con gli occhi cisposi e la mente rivolta a pensieri di strage, la mattina successiva partenza all'alba, ognuno perso in sé stesso . Dario non mi ha espunto dall'albo degli amici, ed io non posso dire banalmente che si sono trattati di quindici giorni straordinari: devo dire che se essere malati permette alla buona sorte e ai buoni compagni di offrirmi occasioni del genere, tanto vale restare malati. Magari aggravandosi anche un poco, non troppo.