PIEVE

PIEVE
POLAROID

sabato 13 ottobre 2012


LETTERA APERTA ALLA CANCELLIERA MERKEL

Signora Cancelliera,

sono un italiano con madre greca che si rivolge a lei affidando questo messaggio alla rete e sperando che le adesioni o comunque la sua lettura permettano di coinvolgere abbastanza persone, in Italia e all'estero, da farlo diventare un macigno che lei e l'opinione pubblica tedesca non possiate ignorare.
La sua politica e le sue decisioni sono nell'interesse del popolo tedesco e mai affermazione fu più erronea e moralmente inaccettabile di questa. Lei ha dimenticato. Ha dimenticato cosa è accaduto e come il mondo intero già una volta sia stato sconvolto da una Germania unita tutta sotto un capo sanguinario.
Il suo paese fu vinto per opera soprattutto degli inglesi e degli americani, nei cui confronti lei e il suo governo avete precisi irrefutabili e moralmente indiscutibili obblighi di riconoscenza. Se la Germania non è stata messa al bando delle nazioni civili, se è risorta, lo dovete alla generosità degli Stati Uniti, che dopo una guerra sanguinosa, subito cancellarono ogni risentimento e aiutarono il popolo tedesco, prima sfamandolo, e poi con un gigantesco sforzo finanziario e con l'epica difesa di Berlino, a rientrare nel giro di pochi anni delle nazioni su un piede di parità consentendo alla vostra economia di riprendere il posto che il suo paese per l'operosità del vostro popolo meritava a piena ragione. E tutti hanno voluto dimenticare. Ma se non all'Europa tutto ciò comporta che a una richiesta degli Stati Uniti di evitare di ripetere con altri mezzi gli errori del passato, precipitando il mondo intero in una crisi che alla fine travolgerò la stessa Germania, voi non possiate per nessuna ragione al mondo non corrispondere.
Abbiamo letto le sue aberranti dichiarazioni su quello che lei non consentirà sino a che vivrà e pensiamo che un qualsiasi politico in qualsiasi paese dovrebbe vergognarsi di una affermazione del genere e chiedere scusa prima di tutto al suo popolo.
Abbiamo letto che sta montando nell'opinione pubblica tedesca la convinzione di una superiorità morale e che in particolare i paesi del sud d'Europa sono caratterizzati dalla presenza di fannulloni che non pagano i debiti.
Abbiamo letto e visto che in qualche modo questi giudizi approssimativi sono condivisi da larghe masse.
Quanto alla Grecia le affermazioni i giudizi e i fatti denotano un atteggiamento sprezzante e ingiustificabile.
Lei, signora cancelliera, non solo non è una statista, ma sta facendo in modo che intorno alla Germania monti nuovamente un clima di inimicizia e ripulsa che distruggerebbe gli sforzi e i risultati che parevano sinora acquisiti.
Lei, signora cancelliera, ha una vista corta indegna delle migliori tradizioni germaniche, indegne di un grande popolo che tanto ha dato al mondo.
Se davvero ha detto o pensato quello che la stampa riporta, si dimetta.
Se crede davvero di obbedire a una qualche morale, si dimetta, innanzi tutto nell'interesse del suo paese.
Sappiamo che la maggioranza dei tedeschi non pensa e non condivide la sua politica e la sua vergognosa ostinazione nel mantenere un ruolo e una posizione che non merita.
Quanto alla Germania, nel dopoguerra assieme a Francia e Italia ha costruito con pazienza e guardando al futuro, una Europa che ora lei sta distruggendo
Si dimetta, signora cancelliera, non umilii il suo paese, non lo isoli, non lasci che masse esasperate pensino che se la Germania ha questi giudizi sull'Europa non protestante allora è meglio che il suo popolo non frequenti proprio quel Sud di cui lei vede solo il mare e il sole.
Si dimetta. Subito. Non permetta che si torni alla situazione dell'inizio del scolo scorso ma con una economia distrutta.
Il suo gesto non lo deve a tutto il mondo che le chiede una politica diversa. Lo deve agli stati Uniti, con cui il suo popolo ha siglato un contratto solenne.
Quanto all' Europa all'Italia e alla Grecia, studi e pensi alle vere e proprie idiozie che le e il suo governo avete alimentato. Sappia che i Greci, lavorano ben più dei tedeschi.
E di fronte al mancato pagamento dei dei danni di guerra, chieda perdono per un rifiuto che avrebbe consentito alla Grecia di risolvere già anni fa i suoi problemi.
Se non vuole che tutti i tedeschi vengano tenuti lontani ed evitati, si dimetta. Subito. Non pensi che se cambia politica possa cambiare anche il giudizio che sotto il velo della diplomazia e delle buone maniera non solo noi, ma tutto io mondo ha nei suoi confronti.
Lei è consegnata alla storia, senza appello, come un poltico di corte vedute espresso da un grande popolo che ha saputo dare al mondo grandi statisti.
Se ne vada, Subito. Adesso.

sabato 5 maggio 2012

MOSTRA DI POLAROID

Venerdì 18 maggio alle ore 18,30 si è inaugurata alla Pinacoteca Civica del Comune di Pieve di Cento la mia mostra di Polaroid.
La mostra è curata da Graziano Campanini, e il catalogo reca anche il contributo di Diego Maria Macrì, noto fotografo bolognese, oltre a quello del curatore ed ad una mia breve presentazione. Umberto Saraceni accompagna e commenta con un video le foto esposte.
La mostra ha avuto in sorte dopo solo tre giorni un terremoto. Le foto sono dunque rimaste prigioniere di un museo attualmente inagibile. Il Comune si è impegnato a riaprire ai visitatori la pinacoteca quanto prima.





 CONTROFATTUALI, OVVERO CIO’ CHE POTEVA ESSERE E NON E’ STATO

Per Giovanni Michelucci


Io sto progettando un ospedale che cerco di rendere gradevole.
Giovanni Michelucci, Non sono un maestro


Giovanni Michelucci era un architetto che cominciò dal mestiere e dal mistero del costruire e lungo l’Ombrone a Pistoia vagava per campi e boscaglie, apprendendo misura e bellezza; e quando divenne architetto si accorse che ciò non bastava e che occorreva ripensare le città e non bastandogli neppure questo che bisognava, semplicemente, tornare a pensare agli uomini.
Si dedicò così ai luoghi in cui gli uomini entrano in relazione tra loro, ai punti di scambio, di incontro, la stazione di Firenze prima e poi la chiesa dell’autostrada, e i mercati e tante altre realizzazioni, tanti progetti, tutti animati dall’idea che la bellezza fosse la conseguenza di un sistema di vita alternativo. Diceva pure di esser convinto che l’architettura come opera singola individuale fosse finita e che doveva lasciar posto ad una architettura come opera corale.
E arrivò alla fine a pensare ai luoghi dell’esclusione: alle prigioni, agli ospedali, andando con le sue idee contro tutti, ma aprendo uno spiraglio su come la vita potrebbe essere. In anticipo sui tempi, precursore o visionario, non smise mai di ricercare e di pensare.
Il volto scavato e grifagno era quello di un toscano antico, dello stampo di un guelfo o di un ghibellino, coraggioso, orgoglioso e perdente. Nessuno gli commissionò un ospedale, ben sapendo che avrebbe stravolto le linee di una razionalità priva di grazia e ripetitiva e che avrebbe cercato di aprire l’ospedale alla comunità. Ma ci fu un momento in cui motivi e destini diversi si incrociarono facendo sì che una commessa gli pervenisse, finalmente, già in là con gli anni, da una città antica più simile alla Pistoia della sua infanzia che ai grandi agglomerati urbani come Firenze. E progettò l’opera, disse poi, assieme alla città, coinvolgendo gli abitanti e i tecnici, i medici, gli infermieri, guidato dall’idea che il malato dovesse non sentirsi più isolato e che la città doveva penetrare nell’ospedale. “Aprire gli ospedali, le carceri e persino i cimiteri”, diceva e quando i lavori iniziarono sentì che la sua opera poteva dirsi conclusa, e sapendo che avrebbe dovuto combattere contro le insidie della burocrazia, dei finanziamenti scarsi, dei ripensamenti, delle norme in continuo cambiamento, si impose la pazienza e la dura umiltà dei coraggiosi. Aspettò anni, il volto sempre più scavato, attendendo il suo ospedale che già faceva discutere nei testi di architettura. Le dita affusolate frullavano senza posa su pagine e pagine, in cui abbozzi, disegni, scorci anticipavano la bellezza di un’opera che non riusciva a vedere conclusa.
E non ce la fece. Non riuscì a vederlo finito. E ci vollero ben più di trent’anni, per terminarlo aprirlo e dimenticarlo, quell’ospedale, l’unico progettato dal grande architetto.
Era a Sarzana l’opera in corso e la piana, che porta al mare, era ancora riconoscibile. Tra la foce della Magra, i contrafforti del monte Caprione che prelude al Golfo dei Poeti, e le le ripide cime delle Apuane ammantate di nuvole, la campagna resisteva: a piedi o in bicicletta si percorrevano sentieri che mantenevano intatto, pur nelle tumultuosa modernità che avanzava, il carattere di una economia basata sull’agricoltura e sull’allevamento. E laghi e canneti accompagnavano da lontano il corso del fiume. Luni, non più visibile dal mare, la sentivamo oscuramente presente, e il pensiero correva a Rutilio Namaziano e allo splendore di marmi al tramonto dell’impero.
Si era alla fine degli anni sessanta del secolo scorso ed io, arrivato da un’Umbria turrita e fosca, ammiravo estasiato quell’improvviso alternarsi di vedute e scorci di mare e fiume e campi coltivati e ignoravo che la catastrofe andava addensandosi: Sarzana era ancora ricca di intelligenze e quando si pose il problema di costruire un nuovo ospedale ebbe il coraggio, grazie e politici entusiasti e disposti a pensare, di rivolgersi grandi architetti, con una visione moderna della sanità: e dopo aver interpellato Alvar Aalto, già impegnato, si rivolsero a Giovanni Michelucci.
Questo è l’antefatto, in cui io non compaio se non come ammiratore prima di luoghi che sentii miei e poi deluso spettatore dei cambiamenti che avvenivano e che andavano trasformando una città felice e a misura d’uomo in un frenetico mercato. Presi da una furia commerciale e mercantile e privi di quelle guide che uscite dalla Resistenza avevano garantito un equilibrio nello sviluppo della città i sarzanesi si trovarono a un tratto circondati di orribili costruzioni, di svincoli e parcheggi che garantivano lavoro e favori a spese di una comunità che scompariva.
Arrivai nel 1991 a dirigere le strutture sanitarie e conobbi il perchè di un enorme scheletro in cemento che contro ogni logica restava, lungo la strada di accesso al centro, senza cambiamenti da anni, e conobbi la storia dell’ospedale nuovo e soprattutto feci la conoscenza con un piccolo gruppo di persone rimaste ostinatamente a difendere il progetto e intenzionate a portarlo a termine. Paola Gari e Pino Lena soprattutto, residuo del gruppo dirigente che aveva voluto quell’ospedale, che aveva condiviso quella visione, ma anche tanti altri che pur silenti erano pronti a mobilitarsi.
E Giovanni Michelucci era appena morto, ed io non feci in tempo a conoscerlo. Era morto nel 1990, a quasi cent’anni: io arrivai nell’estate dell’anno seguente, e mi misi subito al lavoro con la squadra che aveva mantenuto per anni, nonostante i cambiamenti, fermo il ricordo e l’impegno.
Sentivo Michelucci interpellarmi personalmente, come fosse ancora vivo e si rivolgesse a noi come sua ultima speranza. Divenne un’ossessione, tentare di porre rimedio ai ritardi accumulati per errori, insipienze ma soprattutto per ruberie, corruzione, e accomodante assenza di controlli.
Era una delle famose “cattedrali” non terminate, destinate ad essere demolite o dimenticate. E mentre cominciava la celebrazione dell’umanizzazione degli ospedali e dei diritti degli utenti, anzi dei cittadini in quanto tali e non in quanto malati, tutto congiurava a trasformare in uno slogan la volontà così imperiosamente proclamata.
In Italia il modo migliore per dare una risposta nei fatti contraria a quel che si dice è appunto dirlo a gran voce. Si scoprivano i manager, si riorganizzavavo le linee di produzione ripensando la rete ospedaliera per razionalizzarla: razionalizzazione, produzione, riorganizzazione…
In sanità concetti da maneggiare con estrema cautela, rispettosamente: ma cominciò allora, viceversa, una vera e prorpria trasformazione degli ospedali, da luoghi di cura in fabbriche in cui si misurava la produttività con numeri come l’indice di occupazione dei posti letto e la durata della degenza. Ogni rapporto con la logica saltato, la fabbrica era vista e pensata dai programmatori regionali e statali come qualcosa che per giustificare la sua presenza doveva impiegare al massimo i fattori produttivi, dunque richiedeva malati da trattare contro il buon senso che affermava timidamente che lo stato di salute di una comunità si misura appunto dal fatto di non aver bisogno di ospedali. Si proclamavano verità che nella realtà si contestavano e dunque anziché compiacersi del fatto che un’ospedale non figurasse come una macchina sempre in moto, ma restasse a presidio di patologie conclamate o per far fronte ad eventualità ed emergenze, si lamentava la scarsa produttività. Cercammo di contemperare le richieste che provenivano dall’alto con l’idea originale di Michelucci. Reperimmo i fondi mancanti dando dimostrazione della serietà e determinazione della nuova direzione, denunciando l’impresa e i direttori dei lavori che avevano chiuso gli occhi anziché controllare, e cercammo di difendere come si poteva un grande cantiere abbandonato a se stesso da ladri e da vandali mentre contemporaneamente si provava a resistere a richieste continue di riorganizzazione degli spazi. Michelucci mi perseguitava, e a fatica trovammo dei compromessi che non stravolgessero troppo le sue idee, in cui gli ambienti, la luce, la disposizione dei mobili, tutto era pensato in nome di quei diritti al rispetto del cittadino e al sostegno dei lavoratori che cominciavano a diventare parole d’ordine proprio mentre venivano nei fatti rimosse. Spazi di incontro, di socializzazione, di riposo per gli operatori: tutto dovemmo difendere con le unghie e con i denti, tra critiche crescenti e orribili superfetazioni commerciali favorite da una nuova classe dirigente, povera di idee e incapace di vedere la miserevole riduzione della piana ad una distesa di capannoni, in cui, morta la campagna, trionfava l’affarismo più bieco, fatto di scambi inconfessabili.
Ed è giusto che Sarzana, oggi irriconoscibile, si sia data a speculazioni su terreni e indici di abitabilità affidandosi ad un architetto di grido, di quelli che sanno come marcia il mondo, che sanno vendere, che inseriscono come una coltellata improvvisa nel corpo della città inedite ed inutili ed incongrue bellezze, buone per tutti gli usi e per tutti i paesi.
E se pure con tutte le limitazioni e gli stravolgimenti apportati al progetto l’ospedale è stato alla fine inaugurato ed aperto, mantenendo una traccia di quella bellezza che proviene dalla verità a cui Michelucci si era votato; se pure tra un centro commerciale e con la piazza che doveva aprirsi alla città desolantemente vuota, c’è una luce che ancora brilla in un luogo in cui gli uomini soffrono, sento che Michelucci non è quietato.
Dalla sua tomba nel parco della sua casa, a Fiesole, vede dall’alto del colle che non è più tempo di architetti o forse che il suo tempo non è ancora arrivato. Io, personalmente, sento il successo di aver condotto l’opera al termine come un tradimento: e lui continua a guardarmi corrucciato e insoddisfatto.

martedì 28 febbraio 2012

HAIKU DELLA VITA CHE SCORRE



Quasi vent'anni fa cominciai a comporre brevissime poesie che ho chiamato impropriamente haiku.

Come battiti d'ala hanno ritmato i miei giorni, talvolta con una continuità da cui traspare un pensiero assillante. Musicalmente si potrebbero chiamare impromptus, e prima di virare negli anni più recenti verso temi d'attualità e di politica, hanno voluto dipingermi quale sono, sullo sfondo di una natura ora contemplata ora agita, in conversazione con alberi, cieli, animali.







17 ottobre 93

Dolcissimo ottobre.
La pagina sfoglio
ed è pace.








18 ottobre 93

Il viso alzato
che aspetta. L'acqua
non tarda
che scorre.







19 ottobre 93

Su tutto
sarò indeciso.
Lo siano
anche gli dei
per me.





20 ottobre 93

Immutato sentimento:
cieca
assenza.





21 ottobre 93

Nella prima luce
guardami.
Il giorno si farà.




22 ottobre 93

La crisi si avvita:
gli sciocchi
si contano.





23 ottobre 93

Perle d'acqua
sul vetro.
Forse l'inverno.






24 ottobre 93

Il golfo è discorde:
qui la pioggia,
là il sole.





25 ottobre 93

Nello scostare la tenda
esito. Cosa
si fa
luce?





26 ottobre 93

L'aria ormai fredda.
Città ricca
di portici.






27 ottobre 93

Guardo un sole
d'estate.
Ma l'aria non
trema.





28 ottobre 93

Restare a letto.
Pensiero
non calmo.





29 ottobre 93

Settimana che declina.
In testa
un ruscello.





30 ottobre 93

Vedo un'alba cortese:
i saluti
rimando.





31 ottobre 93

Il faro che vede
scomparso
nel grigio.





1 novembre 93

Il fuoco nel camino.
Il soffio,
l'autunno.





2 novembre 93

Sottile pioggia:
risorgerebbero
i morti?






3 novembre 93

Fendere l'acqua.
Essere prua.
Tu
barca lontana.





4 novembre 93

Vittoria: di chi
penso
smarrito.





5 novembre 93

Lieve si addensa
la prima
impalpabile nebbia.





6 novembre 93

Alziamo le voci:
ammutolisce
l'amore.





7 novembre 93

Tra l'ombre
il colore. Tra
le luci
i filari.




8 novembre 93

Cresce il silenzio.
Il tempo
passa.





9 novembre 93

Felici le risposte
delle carte
interrogate: ma quali
le domande?





10 novembre 93

Sul tuo viso
la contesa: spio
il sorriso,
che si spegne.





11 novembre 93

Minutissime gocce:
tutto copre
la liquida trapunta.





12 novembre 93

Vertiginoso l'autunno.
Infiniti modi
per una foglia che cade.





13 novembre 93

Apriti cielo
alla luce che incombe:
la linea potente
dei monti dispiega.





14 novembre 93

Quella mano spio
che dipinge: gesto
fermo e lontano.





15 novembre 93

Oggi finalmente
i corvi: i suoi
neri diritti
l'inverno
grida.






16 novembre 93

Notte trasparente
di gelo: più cristallini
gli scacchi.







17 novembre 93

La poesia
per un mese
- ogni giorno
una stilla.





18 novembre 93

Uomini
in catene: nel silenzio
di ghiaccio il marmo
riverbera.






19 novembre 93

Il meglio sciorini
golfo
nel sole.





20 novembre 93

Attendo: e l'attesa
è premio
a se stessa.





21 novembre 93

Vento di grecale
non contro di te
la barca
potentemente avanza.





22 novembre 93

Sfioro la vita
e la mano un pò
esita: così sulle
cose la prima
neve.





23 novembre 93

Parlo ai più.
Nell'aula manca
il vento
per me.





24 novembre 93

Fugge la storia.
Accadono fatti
che non saprò
ricordare.






25 novembre 93

Da lontano le voci
di un paese rissoso.
Stupore il silenzio.





26 novembre 93

Un torpido ritardo.
Perduta è
l'occasione.





27 novembre 93

Tra nuvolo
e sereno incerto
pende
basso il cielo.





28 novembre 93

Domenica aggiunge
l'ozio
al rimpianto. Poi
fuggono
i ricordi.





29 novembre 93

Un breve soffio
la neve. Ma la vista
permane.





30 novembre 93
Come il mese
che muore attendo
paziente.





1 dicembre 93

La parola tarda
l'animo incalza:
interdetto
mi penso.






2 dicembre 93

Non si guarda
il sole: ma le cose
accarezza
la fiamma che brucia.






3 dicembre 93

Non più viandante:
la strada, mi sento,
il percorso.





4 dicembre 93

Mare, belva
oleosa. Ancora
mi incanti.





5 dicembre 93

Mutato ma quello
mi vede Tellaro:
che sanno gli sconosciuti
che incontro?






6 dicembre 93

Avanza il progresso:
nella calca che spinge
accennare uno scarto.





7 dicembre 93

Ostile sia il mondo.
Tu pure se fuggi.






8 dicembre 93

La fatica che duro.
D'altri,
il mio corpo.





9 dicembre 93

Viaggio, ritorno:
dolora il cammino.





10 dicembre 93

Imbarco. Il silenzio
si fa
pace in cabina.






11 dicembre 93

Aria calda: mancata
è la stagione
nei veli
che levi.






12 dicembre 93

Nel sole l'argine
confina
le terre dalla pianura
emerse.





13 dicembre 1993

Si cheta il sole:
sfioriscono
le voluttà e le ombre.






14 dicembre 1993

Ancora dimmmi
le parole usate:
nuove le fa
l'indifferenza.





15 dicembre 1993

Il riparo di un grillo
che tenta l'inverno.
Il mio ostinato
silenzio.





16 dicembre 1993

Tranne gli alberi
secchi la luce
tutto sfiora e pervade.












17 dicembre 1993

Resto. Ma la folla
si assiepa.





18 dicembre 1993

Neppure una siepe
a difendere
il nulla: il volo
nervoso non trova
la requie.





19 dicembre 1993

Graffiano il cielo
gli storni: rapidissimo
anch'io
penso.






20 dicembre 1993

Patria di stolti e
mercati: a reggerti
è fin troppo
uno stolto mercante.





21 dicembre 93

Felice inganno: non
sembra ma punge
nel sole
il tuo gelo.





22 dicembre 93

La linea dei monti
sfuma nel nulla che
avanza: al tramonto
si leva furtiva
la nebbia.





23 dicembre 93

Prossimo di un dio
il natale: si apprestano
stragi.





24 dicembre 93

Radunate le forze
muovo passi
svogliati. Di cenere
il cielo.





25 dicembre 93

Saluto la casa.
Circospetto come
un estraneo.






26 dicembre 93

Una città così vecchia
come una conchiglia
nelle mie mani
che la vita perduta
reclami.





27 dicembre 93

Nel fulgore dell'addio
contemplando
i ritorni immobile
un treno
garbato mi attende.





28 dicembre 93

Quell'urgenza che
chiama: la luce piena
del giorno
non trema.





29 dicembre 93

Se l'anno finisce
quale cippo piantare
a quale
margine sostare?





30 dicembre 93

Il lavoro inesausto,
inutile sforzo: nel consumo
di vita l'affanno
si placa.





31 dicembre 93

Rapallo del mare
offre solo i ricordi:
nella notte piovosa
io resto
immemore e stanco.





1 gennaio 94

Un'alba come tutte:
io non basto
per dirmi
diverso.





2 gennaio 94

Al topo che di me
prova ribrezzo
chiedo umilmente
la pietà che mi manca.





3 gennaio 94

In appesantita civetta
mutato ripiego
le ali:
malato.





4 gennaio 94

Non vigile dormo
e i sogni ostinati
mi aggrediscono
a torme.





5 gennaio 94

Il fuoco nel camino
spio con quella
solerte cura
che affatica.





6 gennaio 94

Da solo Marcolfa
mi vedi che resto
felice a guardarti.





7 gennaio 94

Quella pianura
lontana: come un foglio
sottile
si increspa.





8 gennaio 94

Vedo scopi
cui resto
estraneo e difforme:
cosa faccio
mi chiedo.





9 gennaio 94

Intento al gioco
soppeso
i pezzi infiniti.






10 gennaio 94

Svanito è il sentiero
se il bosco mi accoglie
improvviso
e uniforme.






11 gennaio 94

Come l'onda in riflusso:
sono la rena
che si mostra e dispare.






12 gennaio 94

Dorme il mondo
e il silenzio
mi ricopre
notturno.





13 gennaio 94

Vile è ritirarsi
ma partecipare
colpevole.





14 gennaio 94

Attendere fermi
nell'umida caligine
che s'alza: incerto
il segnale.





15 gennaio 94

Muti interrogarsi
e stare:
sul ciglio
che dirupa.





16 gennaio 94

Per la gioia
inaspettata della musica
lacrime
allegre.





17 gennaio 94

Credimi non è
nostra
la foga
che ci afferra.





18 gennaio 94

Vi rivedo ma confusi
partecipi ricordi
in silenziosa attesa:
da me che volete?





19 gennaio 94

Anima viva
non c'è: nei campi
una volta
una lepre.




20 gennaio 94

I fatti le voci la cronaca
tutto richiama ombre
fantasmi a ripetere
incessante il già detto.





21 gennaio 94

Stanco d'inseguirti
anelo come
il cane che desiste.






22 gennaio 94

Ricordo la poesia
della tua confidente
resa: penso
un passato che dilegua.





23 gennaio 94

Un filo di nebbia
scivola sfiorando
terra: si fanno
illusorie
le cose, distanti.





24 gennaio 94

Su quella linea
lontanissima
frangono i monti.
Come flutti
i rimpianti.





25 gennaio 94

Il fiato che manca
la vita che resta
il riverbero il mare
che lascio.





26 gennaio 94

A un cavaliere
che scende
in campo serve:
il campo un cavallo
e qualcuno che guardi.
Una folla di applausi
folta non basta.






27 gennaio 94

Solo tornando
il mare mi accoglie
stupito.





28 gennaio 94

Solaro promette
ancora nel sole
possibile
vita.





29 gennaio 94

E' un guizzo
la barca
di spruzzi solcata:
dal grecale
poi sguscia.





30 gennaio 94

Luce in quadrato:
un silenzio
che addensa
nel porto la quiete.






31 gennaio 94

Sul dolore si accorda
sottile
e ritmato
il respiro confuso,
io tutto intero.





1 febbraio 94

Rapida l'ombra
attraversa
incurante: un residuo
animale.






2 febbraio 94

L'Italia che credevo
nel rombo di valanga
intera si riposa.





3 febbraio 94

Solenne si muta
in merda quel fango
che rimestavamo
pazienti.




4 febbraio 94

Imprevista inaspettata
estranea si muta l'aria
da torpida che era:
di richiami vibra
la pace della sera.






5 febbraio 94

E mutiamo noi pure
la storta dolcezza
dei nostri costumi
in dissennati
sussulti.






6 febbraio 94

Fervidi mascalzoni
ladri incresciosi
profeti venduti:
ordinate le schiere.





7 febbraio 94

Forza Italia
destaci
ad un sonno
più cupo.






8 febbraio 94

Cenere: e così
a perdivista
tutto si tiene.





9 febbraio 94

Piego malamente
gli abiti. Auspici
ne traggo
per un viaggio
non fausto.






10 febbraio 94

Roma, ardita
rovina.






11 febbraio 94

Un frullo sommesso
e trasalgo
al ricordo: chi
celebravo oggi
ritorna.






12 febbraio 94

Pacifico asilo.
Mi stanca
l'oblio.





13 febbraio 94

Il gesto sospeso,
una frase
interrotta: è mia
la domanda
non posta.










14 febbraio 94

Gelo tardivo:
la pazienza
di una primula tradita.






15 febbraio 94

La tua promessa
o neve
alita a tratti
nel cielo che scolora.





16 febbraio 94

Consolazione: dirsi
parole
di tenero comando.






17 febbraio 94

Improvviso
il giorno
alla luce si dispone:
inverno
che finisci.





18 febbraio 94

Un grano di ghiaccio
portato dal vento:
riconosco l'addio.





19 febbraio 94

Nel cortile s'accende
una zuffa feroce:
oche cani e galline
paziente disgiungo.





20 febbraio 94

Da lontano ti spio
mia giovane
ombra: affrettati,
vieni.





21 febbraio 94

Un dio maldestro
e insensato
che ad amarci persiste:
io straniero ed indegno
sia presto
per voi.





22 febbraio 94

Nessuna
ragione. Ma la pena
rimane.






23 febbraio 94

Cercavo la pace.
Mi ha trovato
un ridicolo
oblio.










24 febbraio 94

Mi richiedono in troppi
di cose, persone.
Estraggo stupito
i nomi, le date.





25 febbraio 94

Osservo perplesso
le mie tracce,
di me stesso
dimentico.






26 febbraio 94

Di soppiatto
trionfa
la promessa
stagione.






27 febbraio 94

Annuso i tuoi segni
nell'aria improvvisa
e leggera: si muove
con te
il mio cuore sospeso.






28 febbraio 94

Un velo la calma.
Quel frullo di ali
si acqueta?






1 marzo 94

Colmo di parole
e di cenni
sto muto
ai tuoi segni.





2 marzo 94

Intollerabile e lieve
aria che muti.
I lembi scosto
alla tenda.





3 marzo 94

Indefettibile un tempo
che ignora di noi
tutto
ritorna: quella indifferenza
sia benedetta.





4 marzo 94

Animali fratelli
nostri unici e veri
alludete alla primavera
che annuso con voi.





5 marzo 94

Un brusio indecente
si leva: è il sole
delle vostre mattine.







6 marzo 94

Increduli sfiorisce
l'ira: un piazzista
ci offre l'Italia.








7 marzo 94

Mare ti penso
grande quanto
un desiderio
di niente.






8 marzo 94

Nell'aria velata
che promette tempesta
si facciano
i debiti voti.






9 marzo 94

Tralasciare i definiti
contorni: nella bruma
che monta felici
sottrarsi.







10 marzo 94

Forza Italia
sgroppa
disarciona
il cavaliere
che ti sforza.
Come
un carrettiere
dà di morso.







12 marzo 94

Dirne i colori,
saperne gli odori:
difficile
impresa.







13 marzo 94

Passo. Sull'argine
volgo
lo sguardo
all'indietro.







14 marzo 94

L'attesa.
Smentisco.







27 marzo 94

Stringo la barra:
quale silenzio
mi assale.







28 marzo 94

Confusi si corre
ad un voto
imperfetto.







29 marzo 94

E fossi io
sonno e pace
per riposare
così.







30 marzo 94

Alterno le cure
dimentico
e stanco.






3 aprile 94

Non è pasquale
la valle
che severa
attraverso:
impreveduta,
la neve.







4 aprile 94

So essere triste
nel balenìo cupo
di un sole
che tarda.








5 aprile 94

Fredda la lama
che accosto
alla guancia
come il gelo
che torna.





6 aprile 94

Incessanti pensieri
mi volgono
ai fiori: di loro
noi indegni.






7 aprile 94

Inopinato il vento,
senza difese
la terra.






8 aprile 94

Anna Magdalena
scusa
il mio ritorno
così rumoroso.






9 aprile 94

Un rumore grande
di vento:
ancora scompigli














16 aprile 94

Topo, gazza
animali perfetti.
Ma rappresentano gli altri.
















17 aprile 94

Il viaggio che accende :
il diverso
mi accoglie.














18 aprile 94

Ritrovo una città
troppo vecchia : gli anni
Atene puntuale
registra.














19 aprile 94

Kimi tradisce
il verde che stinge
sul nero: il mare
profondo la chiama.














23 aprile 94

Sollevato attraverso
il sordo tappeto
di rumori.














24 aprile 94

Le isole non chiamano:
io, isola, mi chiamo.














25 aprile 94

Facile
liberarsi
a Caristo.
















4 maggio 94

Addio Volvo
che viaggio modesto
l’ultimo viaggio.














5 maggio 94

Io tu
così noi.














20 maggio 94

Polvere dal cielo
terra che rovina :
attoniti ci accogli,
casa neghittosa.
















30 maggio 94

Qui ci separiamo
e il faro non saprà
altro di noi.
















1 giugno 94

Lucio una parola
faticata attendo :
e nel silenzio
quante voci mute.
















12 giugno 94

L’acqua che sale,
l’auto che fende
come prua le onde.
















13 giugno 94

Finalmente i nemici,
finalmente chiaro.














14 giugno 94

Dopo la pioggia
un sole : funesto
il ritorno
all’estate.
















15 giugno 94

Poi ecco : l’aria
si infuoca
come se niente
fosse stato.
















16 giugno 94

La pace si sfoglia
come un albero
che perde
la vecchia corteccia.
















17 giugno 94

Provo il respiro:
mi trattengo perché ?
















18 giugno 94

La partenza.
E quel mare
che s’incurva lontano.
















19 giugno 94

Numerosi
che l’occhio non li conta
i delfini
che ci attendono
a Gorgona.














20 giugno 94

Capraia
m’appari
viola
odorosa.














21 giugno 94

Giglio ti vedo
quiete
promessa.














22 giugno 94

Giannutri
una conca
di mirabili acque.
















23 giugno 94

A Baratti
un ricordo
insiste a
pensarmi.







5 settembre 94

Quel faro che vede
me stesso partire:
un affanno risplende
nel balenio
che ho perduto?








13 ottobre 94

Quel faro che vede
non visto si svela
alla casa che lascio.








4 febbraio 95

Il tuo tempo che passa
si frange
sul mio che s’arresta.









15 febbraio 95

Stupisco
in questa
città di fantasmi:
non ce n’è
uno che torni.








21 febbraio 95

Nell’oro violento
del meriggio quel fuoco
compare ed annuncia
che la stagione ritorna.








18 aprile 95

Il tessuto delle circostanze
s’adorna dell’indimenticabile
cifra: è il desiderio
la trama.








20 aprile 95

Mare infinito
davanti: ardito
dunque il vento
insolente.








6 giugno 95

Unirmi al canto
ed io pure tra gli altri
essere altro.









15 giugno 95

Al Borro rivedo
sul trono di verde
distese
le poche case:
e l’ombra che fui.









22 giugno 95

Non solo il ricordo e la notte
non solo Cambridge
o Roma,
non solo Byron:
ma tutti i poeti
e chi ti conosce
o sacro animale
impassibile guarda

e proteggi.









10 luglio 95

Dal vento il calore.
Agli estremi saluti
si affaccia
il cuore sospeso.









1 agosto 95

Sono io lo scompiglio,
un vento maligno
che agguanta le nostre
povere cose?








1 settembre 95

Vai così via
rapida come il sorriso
che appare e dilegua.









21 settembre 95

Naufragio con spettatori:
ma chi guarda s’illude
che sia la nostra riva
sicura.









29 settembre 95

Laggiù le fauci buie
del canale, tra isolae terra: ittico
il chiarore di Iseo.







19 ottobre 95

Sillabo Palomar
e Portovenere
insieme: trasalgo
al pensiero.








21 ottobre 95

Un sole cocente
chi inganna?
Mi volgo alla luce
convinto.







22 ottobre 95

Quel giardino che nostro
dicevi: al freddo che avanza
sono solo e stupisco.








2 novembre 95

Ci rivedremo Aldo
nel paradiso
dei libri.








24 novembre 95

Tutte quest e nuvole
che passano fredde.
Sullo stipite accolgo
la nuova stagione.








9 dicembre 95

Ripido inverno:
nel chiaro altissimo
dei cieli sono uccelli
quei punti. Sul gelo
della terra
noi niente
per loro.









12 dicembre 95

Un portone malchiuso
e svanita la luce
un barbaglio che resta.








7 gennaio 96

Le striature nere in quella
spuma di grigi: calligrafie
lontane oscurano il Tino.








9 gennaio 96

Io non sono. Ma ricordo
te che cercavi
un me cui parlare.
















20 gennaio 96

Pugliola ritorno
alla tua fila ansante:
quella promessa falla
a colei che adoro.














23 gennaio 96

Ascolto: un civico
concerto. E la numerosità
mi uccide.







7 marzo 96

Scontrosa dissimula
la primavera che avanza
il lento suo volo: testa
all’insù io marcio con lei.







21 marzo 96

Addio Falconara:
Gorgona che appari
immota davanti
hai punito
infine il mio ardire.







21 aprile 96

Il tuo albero o dea
vedo trionfare : così
proteggici ignari.
















24 maggio 96

Dalla vampa
che incombe
anch’io da te
sono spinto.














16 agosto 96

Da Santa Cristina
lo sguardo
dalla pianura
distolgo.







9 settembre 96

Il soffio lo sento.
Nella luce livida
stinge
la mia povera estate.








29 settembre 96

L’anno che volge
con gli altri dipana
decifrabili
a Napoli forse
le trame.








27 ottobre 96

Amore e mattina
e la dolce imprudenza
ci salutano insieme.








25 novembre 96

La pioggia sparge
promesse di neve:
il cane mi pensa.








16 dicembre 96

Spreco la vita
nell’andare e venire.
Cerco incontri
che fuggo.








25 dicembre 96

Impensata la neve
un mare incredulo
asperge
di piume infinite.








28 dicembre 96


Ai colori perduti
nel bianco colmo
dell’aia
il mio cane
abbaia perplesso.








1 gennaio 97

Si stempera il gelo:
transita infallibile
l’anno.







7 gennaio 97

Percy cane e poeta
a Villa Magni sventati
tornano
i tuoi riccioli biondi.









28 gennaio 97

Indefinibile resta
Genova : e chi di un secondo
sguardo la degna.








2 febbraio 97

Umbra oscura minima
via : mia, la ricordo.








4 febbraio 97

Galadriel l’antenna
nera, sottile
non svetta
tra quelle
dimentiche barche.
Ti prego, perdona.








6 febbraio 97

Un passero si sporge :
è qui la vertigine.









21 marzo 97

La vita che porti
mi dici ridendo :
confuso alla gioia
ripenso che torna.









17 aprile 97

Nella primavera che tarda
a dispetto
felice chi vede
un rondone
che lieto ti guarda.








24 giugno 97

Penso a un pensiero
non nato, a una luce
strappata.








20 luglio 97

Liquido il meriggio :
e tu assopita
che richiami
l’estate.









6 agosto 97

I ricordi di un cane.
Tra loro, forse io.









2 novembre 97

Se i vivi tornassero
se la tregua durasse









4 novembre 97

Il freddo è nascosto
nel tepore di
un’estate lontana








22 dicembre 97

Mi credevo perduto
ma era salvezza
quel velo








25 dicembre 97

Nascere ancora?







29 dicembre 97

Una vita dopo
conoscere
tradimenti lontani?







1 gennaio 98

Sole ed inverno:
la pace lei torna








6 gennaio 98

Sera se il fuoco
stanco
si spegne








17 febbraio 98

Improvvisa
torna l’età la stagione
ed avanza







21 marzo 98

Una notizia
irrompe: la battaglia
al messaggero
si piega








7 aprile 98

Torno e la luce
non pare quella







30 aprile 98

La notte mi sorprende,
usignolo ostinato







16 maggio 98

Era di maggio
l’aria quella
vibrava: io
c’ero








28 giugno 98

Una casa che rimane
sospesa sul crinale








22 luglio 98

Sbiancato il cielo
e muto il mondo:
preme la vampa.








23 luglio 98

Niente più triste
di un girasole
esausto.








11 settembre 98

Di lucido ghiaccio
lo sguardo che posi.
Civetta di Skiro, io passo
esitante.










29 settembre 98

Eccomi. Una vita
che pensavi intera
ma non era, non era.
















29 novembre 1999

una lama di sole
sul libro:
un ricordo
mi cerca
















3 dicembre 1999

le dita sul vetro
ed è gelo: così
è inverno.


















5 dicembre 1999

nel giardino davanti
resistevano
gli alberi: oggi un vento
feroce li spoglia




















7 dicembre 1999

brina e sole
mi sento
allegro


















31 dicembre 1999

riconosco il rombo
degli umani: nella notte
il richiamo
di un cane.


















1 gennaio 2000

non c’è sole
che possa
nascondere
questa delusa attesa.
















12 gennaio 2000

in diagonale veloci
un segno nero
lasciano i merli.




















ù26 gennaio 2000

un sole che gela:
a quanti inganni
fui pronto.


















9 aprile 2000

trattengo il respiro
a sentire la vita
se avanza


















13 aprile 2000

luna invocata
che torni
dalla misera contesa
rifuggi?


















16 aprile 2000

crossed paths: muto
vi penso
destini d’Italia
in altra lingua, in un
gelato aprile
















19 aprile 2000

nel chiarore solenne
la trama le fronde
i primi ricami
alla luna che sorge


















23 aprile 2000

sfuma dolce la nebbia
dal lago: non più invisibile
torno alla luce che scende




















26 aprile 2000

immobile l’acqua
e il resto sospeso:
per un attimo
estate


















2 maggio 2000

umido il palmo.
Bello se fosse
Rugiada


















8 maggio 2000

nella grande notte
esitare felice
ad un incrocio romano


















13 maggio 2000

il cielo smentisce
le attese di maggio:
tra nuvole e rovesci
si prepara il raccolto


















14 maggio 2000

impreveduta a Cotignola
Rosa di maggio:
continui a tornare
notturna Romagna


















31 maggio 2000

sosto malato
pieno
di quella spenta
quiete
















1 giugno 2000

osservo discosto
disputare vilmente
reggitori e potenti:
la spada affilo
paziente.
















3 giugno 2000

come acqua
di montagna
così l’aria
superba di giugno


















4 giugno 2000

le nostre cose
comuni, la memoria
che festevole indugia,
la nazione che abbiamo
pensata per sdegno
vi siano
per sempre sottratte
















5 giugno 2000

se interrogarmi
potessi quale
risposta sarei?


















6 giugno 2000

soffia verso il solstizio
anima mia, torna
al caldo che sai




















19 gennaio 2001

tempo primo
in questo secolo
t’apri: ultima
voce tu sei


















3 settembre 2003

diranno che è passata
l’estate. Affidali
al vento i tuoi cortesi
dinieghi.














4 settembre 2003

settembre di gloria
di luce di vento:
sei tu a rianimarmi?










3 ottobre 2003


Platana


Aspetto il ritorno
Dell’isola : a oriente
Comparirà, tra la punta
E il niente











1 ottobre 2003


Atene

ho esultato
a sentire su quel
sentiero deserto
l’eco lontana
della felicità di un cane










21 giugno 2004

primo giorno d’estate.
Quella del 67, direi




















22 giugno 2004

una palla su un prato:
turbinine, intorno,
di povere anime.








Commiato

Sia breve l’assenza
quanto lungo l’addio:
ma da dove mancare
e dove tornare
questo tu non lo sai