PIEVE

PIEVE
POLAROID

sabato 19 ottobre 2013


Continua il dramma di una città divisa. Ecco un contributo in memoria dell'infinita, e inutile, pazienza degli spezzini. Il racconto entrerà a far parte di una nuova raccolta dedicata alle nostre città.

IL VARCO

Eccolo, il Varco. Ce n'erano due, uno a mare, uno in Piazza Federici. Quello pedonale era il suo, non era distante, forse mezzora, forse di più. Il passaggio l'aveva programmato con largo anticipo, dunque aveva tutto il tempo. La folla scalpicciava, pareva immobile, ma alzandosi sulla punta dei piedi poteva vedere l'arco e le persone che sfilavano sotto: qualcuno doveva mostrare i documenti, altri entravano passando lentamente perchè il lettore potesse leggere l'rfid.

I documenti! Dov'erano? Si tastò precipitosamente la tasca interna del soprabito, con il gomito urtò la signora a fianco, uno sguardo d'odio troncò sul nascere il suo tentativo di scusarsi. E il pass l'aveva. Controllò il braccialetto. Era quello che inviava il segnale al lettore.
Tutto a posto. Si rilassò. Un altro metro, avanti, avanti. Certo, era stanco. Aveva abbastanza anni da ricordare come la città era prima. E prima ancora, quando al Costa ci andava lui, e la piazza non solo era libera, e ci si passava in macchina, ma addirittura ci si passeggiava, e sulla scala del Liceo i ragazzi strabordavano sino ad occupare la strada, e dal centro, sotto i pini, guardando da una parte si vedeva in asse, laggiù, stampata sulla collina che spiccava nera sul cielo azzurro, la porta dell'Arsenale, e dall'altra parte, incorniciato tra i palazzi si intuiva lo slargo di piazza Europa.

Sì, era bella, allora, quella città che aveva amato, che si stendeva su due piane che lungo il mare si guardavano attraverso una striscia sottile incalzata dalla collina, una striscia solcata da una grande e lunga, dritta e diretta, sequenza di vie e di piazze che parevano far comunicare le sue due anime.
La giornata era grigia. Una pioggia sottile pareva evaporare dalla folla assiepata anziché cadere dall'alto. Ormai poteva vedere il Varco. Le palizzate che chiudevano la piazza e lasciavano solo lo spazio per l'arco da una parte, quella più corta che chiudeva via XX settembre dall'altra e la gente alle spalle che spingeva: gli pareva di essere una mucca spinta in un ineluttabile recinto. Un topo, anzi.
In trappola. E gli agenti della Securitas, l'agenzia privata cui era stata esternalizzata ogni forma di vigilanza e controllo, ai lati del Varco, i cani al guinzaglio, spiccavano neri e corruschi sul grigio di quella lenta processione. Pensava a quando la città gli si spalancava davanti, libera, accessibile, disponibile. Si faceva colazione in via Chiodo, si passava al Circolo Velico, si andava a Lerici passando lungo viale S.Bartolomeo. In macchina! Dove c'era un posto, lì la si lasciava, e da Piazza del Mercato si poteva andare senza ostacoli, a piedi, in piazza Verdi. E al cinema si sceglieva: andare all'Astra o al Cozzani? Due luoghi distanti poche centinaia di metri in linea d'aria, ora separati da una barriera superabile solo a fatica, solo se autorizzati. Ma che diceva? Di che parlava? Erano decenni che l'Astra era stato trasformato in un supermercato, la sua sala con il soffitto su cui campeggiava una grande figura di gesso nascosta per sempre da lividi controsoffitti. E il Cozzani: una sala Bingo. E lì all'angolo, oltre quell'arco presidiato da vigilanti con i cani al guinzaglio, in fondo, a sinistra, non c'era la liberia Ricci? Una volta, tanti anni fa, e poi un orribile bar. Ma tutti i locali lungo la piazza erano chiusi da tempo, qualsiasi cosa ci fosse stata dentro. La città era morta. Un tenue filo di traffico scorreva lungo il viale a mare, sotto l'altro arco, ma serviva soprattutto ai crocieristi che scendevano a migliaia, occupavano la passeggiata Morin, a loro esclusiva disposizione, e con gli autobus potevano liberamente riversarsi verso le Cinque Terre, ignorando la città stremata e bloccata che li accoglieva. Era l'ultima cosa rimasta: qualche euro ogni tanto finiva nelle tasche dei commercianti locali, gli addetti al porto, al terminal, ai servizi potevano ancora mantenere le famiglie. Lui per fortuna era in pensione, ce l'aveva fatta. A 75 anni ma adesso era libero. E poteva aspettare anche delle ore. Ma era quasi arrivato.

E poi quella non era più piazza Verdi. Da quando il Sindaco era rimasto travolto da un pino su cui si facevano le prove di trazione, quella era piazza Federici, in onore di chi aveva così fortemente voluto l'abbellimento e quasi la trasfigurazione della piazza. Il cantiere era ancora lì- quanti anni erano passati? 20, no ben 22, si disse mentre ormai il Varco incombeva. Ricorsi, controricorsi, denuncie, diffide: contro tutto e contro tutti, in nome di una visione della città che lo aveva accecato, per imporre a quel popolo di ignoranti, di tradizionalisti, di imbecilli la sublime prospettiva di uno spazio tutto ripensato secondo una prospettiva di assoluta bellezza, aveva imposto quel cantiere perenne che strangolava la città, che rimaneva a perenne memoria di una testarda ma coerente follia.
Sulla palizzata che delimitava lo spazio in cui i lavori si erano fermati da tempo, in cui le macchine arrugginivano sotto la pioggierellina -un pulviscolo, quasi un vapore- perenne e instancabile, campeggiava la scritta di un cittadino molto spiritoso: CHECK POINT CHARLIE.
Sì. La Spezia era stata una città bellissima, prima che si mettessero a migliorarla, a riqualificarla, si diceva, e adesso era come Berlino prima della riunificazione delle due Germanie. Era il suo turno. La guardia lo scrutò sospettoso, il cane emise un ringhio sommesso, alzò il braccio, il bip del sensore suonò, il pass non glielo avevano chiesto, entrò nella zona sorvegliata.
Si voltò a guardare l'arco. Sembrava il portale di un autolavaggio, con quei colori stridenti. Prima di morire il sindaco era riuscito a tacitare Buren, il grande artista cui era stata commissionata la decorazione della piazza, acquistando due archi mobili.

Bé, servivano davvero, si disse. Facevano colore, non c'è dubbio, pensò. Piazza Europa era chiusa per la costruzione del parcheggio da una infinità di anni, l'accesso al mare vietato, l'ospedale si era sbriciolato nel terremoto del 2020 e quello nuovo costituiva solo l'oggetto di presentazioni e cerimonie e proiezioni di rendering, per andare a Portovenere si faceva prima con il battello da Genova, ma la città aveva i suoi archi di Buren. E pensava che per la prossima festa della Marineria la città sarebbe stata evacuata dei suoi cittadini, e gli archi trionfalmente spostati sulla passeggiata a mare, all'inizio e alla fine, per farli ammirare a tutti i visitatori. No, non era amarezza quella che provava, ma orgoglio. Nessuna altra città al mondo avrebbe resistito a tutto ciò, consentito a quello sfascio, accettato quel disastro. Solo gli spezzini sapevano coltivare la rassegnazione con tanta docile passione.

martedì 21 maggio 2013

Torna la mostra di polaroid

A un anno esatto dal terremoto riapre a Pieve di Cento la Pinacoteca Civica con un nuovo allestimento e nuove opere esposte. E riapre la mia mostra di polaroid rimasta visibile per soli due giorni.