I
Se il caso non esiste
-come ripetevi impassibile
quando lo stesso pensiero
ci pensava-
se erano pura allegria
gli incontri e la stanchezza
di vivere che pure
dottissimamente argomentavi
svaniva dietro
una gioia primitiva e se
quella smania che lenivi,
tu ottuso siciliano,
quella mia intendo,
che mi brucia, diventava
argomento di riso sarcasmo
e parole in festa,
allora è vero
questa mia pace
e il ridere che faccio
a pensarti morto
questo scherzo bellissimo
e crudele
sono la prova
che mi infastidisci e mi rallegri ancora.
II
Hai vinto tu
e rinnego le pazienti lettere
che abbondavano in giudizi
poiché sgusciando con eleganza
dalla vita, hai lasciato me
scomposto a dimenarmi
nel tempo impietoso
che deridevi tanto.
III
C’era un odore, cioè era
sentito;
c’era un suono, cioè era
udito;
c’eri tu, cioè eri vissuto.
Se il vecchio filosofo
aveva detto bene
quello stare
insieme, ora,
cos’è?
IV
Volevo dirti come sta il roseto
e il pesce che hai mancato.
E’ urgente. Da un angolo
di Grecia così perduto
mentre l’aranceto
tutto insieme stinge
e tarda Skyros ad apparire
solo questo importa e dei sogni
che facemmo insieme se resta
poco, è tanto tuttavia
averceli scambiati
con allegra noncuranza.
V
Io li chiamavo, tu li fornivi
quei momenti così pieni d’essere
da rendere muti per la conclusiva
forza della vita.
Scambio, parole, risa e silenzi
tutto aderiva a quel simulacro
di società diversa
che negli anni migliori
tu sapevi costringerci a pensare
ed erano dunque
di fondazione i riti
che officiavi
nell’osteria di Stelio,
tra noi distratti ed incantati.
2004, inedita
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