PIEVE

PIEVE
POLAROID

lunedì 17 dicembre 2007

A Lucio

I

Se il caso non esiste

-come ripetevi impassibile

quando lo stesso pensiero

ci pensava- 

se erano pura allegria

gli incontri e la stanchezza

di vivere che pure

dottissimamente argomentavi

svaniva dietro

una gioia primitiva e se

quella smania che lenivi,

tu ottuso siciliano,


quella mia intendo,

che mi brucia, diventava  

argomento di riso sarcasmo

e parole in festa,

allora è vero

questa mia pace 

e il ridere che faccio

a pensarti morto

questo scherzo bellissimo

e crudele

sono la prova 

che mi infastidisci e mi rallegri ancora.


II

Hai vinto tu

e rinnego le pazienti lettere

che abbondavano in giudizi

poiché sgusciando con eleganza

dalla vita, hai lasciato me

scomposto a dimenarmi


nel tempo impietoso

che deridevi tanto.


III

C’era un odore, cioè era

sentito;

c’era un suono, cioè era 

udito;

c’eri tu, cioè eri vissuto.

Se il vecchio filosofo

aveva detto bene

quello stare

insieme, ora,

cos’è?


IV

Volevo dirti come sta il roseto

e il pesce che hai mancato.

E’ urgente. Da un angolo

di Grecia così perduto

mentre l’aranceto

tutto insieme stinge

e tarda Skyros ad apparire

solo questo importa e dei sogni

che facemmo insieme se resta

poco, è tanto tuttavia

averceli scambiati

con allegra noncuranza.


V

Io li chiamavo, tu li fornivi

quei momenti così pieni d’essere

da rendere muti per la conclusiva

forza della vita. 

Scambio, parole, risa e silenzi

tutto aderiva a quel simulacro

di società diversa

che negli anni migliori

tu sapevi costringerci a pensare

ed erano dunque

di fondazione i riti

che officiavi

nell’osteria di Stelio,

tra noi distratti ed incantati.


2004, inedita 

Nessun commento:

Posta un commento