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martedì 18 dicembre 2007

Edoardo Sanguineti - Come si diventa materialisti storici?

Ecco un libro che un critico letterario non dovrebbe recensire. Solo apparentemente, però. Si tratta infatti a prima vista di un manuale, che con l’uso della lingua a fini espressivi non sembrerebbe aver nulla a che fare. Diventare materialisti storici con le chiare istruzioni dell’autore è una cosa facilissima, non più che diventare vegetariani o imparare a fare ogni riparazione in casa. Certo, si tratta di una cosa diversa, ma solo perché particolarmente chic, un po’ come imparare a pescare con la mosca: roba per pochi intenditori. Basta cercare un proletario e farselo amico, imparare a memoria la prefazione del 67 di Lukàcs al suo Storia e coscienza di classe, citare in francese Sartre e farsi cofanate di Moravia vomitando e rileggendolo compulsivamente sino a che cominciate a sentire la coscienza di classe farsi strada nell’emisfero sinistro del vostro cervello. Installata la coscienza di classe il più è fatto e voi siete già dei materialisti storici in formazione. Il libro non manca di dare utili consigli sulla manutenzione della coscienza di classe, che richiede episodiche e non troppo intense letture di Brecht e Benjamin, alternate a spruzzate di Gramsci (senza esagerare).
Ma Sanguinati è stato un grande poeta del Gruppo 63, e critico e storico della letteratura. Ecco dunque che ad un esame più approfondito il concatenarsi delle argomentazioni, i ricordi della giovinezza a Torino, e lo stesso stile piano e non ricercato, l’andamento un po’ divagato che rimanda ad una conversazione tra amici in una scuola di partito, il delizioso elogio del comunismo, disegnano un controtesto che non tarda ad apparire: si tratta di una lunga poesia mascherata da manuale che mima una lezione di storia del pensiero. Una struggente palinodia in cui la poesia si annulla nella vita che scorre e di questo nulla si alimenta per tratteggiare con rimpianto le piccole cose che abbiamo amato: gli operai, il comunismo, la contraddizione, l’autocritica, la sovrastruttura, l’ideologia e via dicendo. In un gozzaniano bric-à-brac appaiono in controluce le sezioni, Vie nuove, il compagno segretario che tira le conclusioni, la distribuzione dell’Unità la domenica, la festosa primavera del 45. La chiusa di questa lunga poesia, che sapientemente ricalca la struttura delle Odi di Orazio, è dedicata all’odio di classe, e con un piglio degno del grande Villon ci ammonisce ad esercitare la santa virtù della sgarbatezza: “occorre essere sgarbati, sgarbati, sgarbati e carichi di odio nei confronti di coloro che non appartengono al proletariato”. Di fronte a questi versi il dire trema: e non ci sono più parole.

Manni, 6 euro

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