PIEVE

PIEVE
POLAROID

lunedì 17 dicembre 2007

L’ESTATE DEI LEONI

No, non quelli del film con Marlon Brando. Ma giovani sì, e stronzi come ci si aspetta da chi scrive sui muri “io e te x sempre”.

Era l’estate cupa e irrimediabile dei tre metri sopra il cielo. Non si può incolpare lo specchio se ci rimanda una vista disgustosa? Senza dubbio, ma talvolta lo specchio dà forma e impulso e coscienza di esistere a ciò che va contrastato. Così quell’estate: il romanzo di Moccia sarebbe stato il meglio che non venisse scritto e se scritto che non venisse pubblicato; e se pubblicato che non venisse letto.

Invece di distribuire calci in culo o al peggio imbarchi gratuiti per missioni di pace in Iraq (ma andava bene anche l’Afganistan) si sopportò pazientemente che l’imbecillità dilagasse, che quell’impasto di violenza prevaricazione e bamboleggiamenti e sdilinquimenti continuasse senza opposizioni.

Una generazione quasi tutta persa, giovani che promettevano adulti inservibili per qualunque ricamo sociale, per qualunque scopo che trascendesse il puro sé. Quelli che là dove capitava non si srovesciavano, gli occhi improvvisamente sbarrati, per overdose, quelli che non aderivano come colla ai muri ai pali ai paracarri per incidente d’auto di moto di motorino, quelli che non impazzivano per il troppo fissare i telefonini , la mano destra inservibile ormai ad ogni altra funzione, lo sguardo perduto, ed un fiorire di borborigmi e grugniti che solo talvolta parevano interiezioni spezzate: insomma i rimasti, tantissimi lo stesso, quell’estate si aggiravano in branchi, in sciami, in greggi, con le discoteche, i lidi, i bagni le spiagge come luoghi di incontro e di tremenda “socializzazione”.

Fu l’estate del trionfo e della definitiva ascesa sociale dei cafoni, dei barbari, degli ignoranti. Cattivi o assenti maestri, musiche indimenticabili per la perversa oltraggiosa stupidità e quelle scritte che fiorivano in tutta Italia. C’era chi digrignava i denti a vedere “6 il mio amore”, chi si lanciava nel vuoto a sentire gli hit dell’estate, chi anelava all’apocalisse, chi invocava i più rigidi cultori della sharia, chi più semplicemente, avendo capito che la fine della nostra civiltà cosiddetta occidentale era per fortuna arrivata, aspettava paziente.

I segni c’erano tutti: la neve il 15 agosto in alta Valtaro, i turbini improvvisi e i fulmini, con regolare contorno di fulminati, l’improvviso aumento dei decapitati in mare (non per punizione salvifica e fil di spada ma per utilizzo demente di motoscafi e simili), e infine la finta eruzione con colata lavica e tremor di terra disposta da un ilare Berlusconi nel suo villone pacchiano.

Eppure ai più sfuggì un altro segno, opposto, un segno che retrospettivamente fu chiaro che annunciava un cambiamento, un mutamento di registro.

Furono i leoni a reagire. Non i veri, ma gli antichi. Quelli che vigilano in tante nostre chiese, reggendo da secoli colonne. I primi furono a Trani. Degli idioti avevano fatto bivacco del portico, bevendo birra e seminando lattine e incarti di pizza ed evidentemente non sazi del nulla pensarono bene di decapitare a martellate uno dei due leoni. Un episodio di normale inciviltà, di stolida insensibilità, eccetera eccetera, su cui i giornali locali andarono per giorni deprecando lamentando con santa indignazione.

La cosa singolare fu che due giorni dopo in un incidente stradale una solenne e impossibile dinamica dei diversi corpi in gioco produsse un effetto strabiliante: due teste decollate con precisione a due ragazzi che avevano bevuto, andavano in due su un motorino senza casco, e vennero successivamente identificati come quelli che avevano colpito il leone.

Poi fu a Sant’Agostino, sempre a Trani: un imbecille per ben figurare di fronte a una qualche ragazza (che si presume ridesse ebete e in sollucchero invece di strappargli le palle) disegnò per gioco delle lagrime sul muso del leone che ornava la porta. Il referto dei medici non fu chiaro, ma il ragazzo da allora non ha smesso di piangere, gli occhi arrossati e finalmente quasi inservibili.

Fu lo stesso a Nonantola: i leoni dell’Abbazia, il muso sfregiato dal solito imbecille, restituirono una implacabile dermatosi. E così in altre luoghi: i leoni antichi quell’estate attirarono i peggio incarogniti, quelli senza speranza, e li ripagarono in moneta sonante.

C’è chi ha parlato di coincidenze, chi di maledizioni degli antichi artigiani. Io non so dire, ma penso che i leoni abbiano improvvisamente deciso, tutti assieme, che era arrivata l’ora di una sana lezione di vita. Che era giusto far propria una massima rivoluzionaria, e che se gli adulti si tiravano indietro di fronte ai giovani loro avrebbero provveduto a colpirne alcuni per educarne molti.

2007, inedito


Nessun commento:

Posta un commento