PIEVE

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POLAROID

lunedì 17 dicembre 2007

ACHEI AD IKEA

Il 16 aprle 2004 alle ore 17 ad Atene un pomeriggio sonnolento cedeva il passo ad una serata chiara e ventosa: gli dei normalmente scontenti e corrucciati avevano strappato il velo che ogni mattina posavano sulla grande città bianca. Niente nefos, e una brezza che sapeva di mare e che accarezzava anche i campi della grande pianura tra il Pendeli e Maratona. Fu in quel momento che il signor Gunnar Elvstrom si alzò di botto, ancora più pallido di quanto già non fosse, gridando come un ossesso “Where is the police? Where? Wehre?”, e rovesciando la sedia girevole Joel. Ad ogni “where” ognuno più stridulo del precedente, dava un pugno sulla scrivania Gustav: prima saltò la lampada Brotorp, poi la cassettiera Alve. La sua segretaria Melina intervenne in controtempo con una serie ritmata di “Panaghiamu” mentre Teokrithos Ambelachis, il direttore di sede, indeciso tra il greco e l’inglese si orientò su uno scuotimento di testa con “Po, po” di deprecazione.

-L’avevo detto io che qui in Grecia non si poteva aprire una Ikea- aggiunse subito mentre lo svedese si avvolgeva nella tenda Vinde Slinga cercando di allontanare il rumore che saliva dal basso. Nella sala le ragazze che preparavano per il rinfresco ciangottavano a velocità supersonica in un crocchio che andava assumendo l’apparenza di un coro di tragedia: le loro divise nere ne facevano risaltare il gruppo indistinto come un’ombra mobile, proferente oscure ammonizioni tra lo sciabolare dei faretti e i lacerti vividi di renna e di salmone sulle tartine.

L’inaugurazione della prima Ikea in Grecia, vicino al nuovo aeroporto internazionale, era da mesi l’avvenimento dell’anno e quel giorno Katherimeri, il giornale più serio e compassato di tutta la stampa greca aveva dedicato la prima pagina a quell’ultimo tributo che la nazione offriva alla modernità e alle Olimpiadi alle porte.

Intanto il rumore si era trasformato in un ruggito potente, che scuoteva le pareti del grande magazzino: uno sguardo dalla finestra al piazzale, strapieno di una moltitudine per niente composta, fu sufficiente al rappresentante della sede centrale per farlo prorompere in singhiozzi, questa volta in svedese.

Le porte a vetri della zona di uscita e carico merci, progettate appunto per uscire e non per entrare, furono le prime a cedere, nonostante lì fosse scritto a lettere cubitali “exodos”, mentre l’”isodos”, l’ingresso, resisteva ancora.

-Faranno tutto a pezzi. Sono gli anarchici. L’avevo detto io, l’avevo detto io, una multinazionale qui- si lamentava il direttore.

L’urlo della folla adesso aveva un ritmo diverso, un tono ascendente, un battito più uniforme. Erano piedi che marcavano una specie di marcia lenta. Dal groviglio indistinto di rumori si dipanavano incitamenti, apparve all’improvviso in tutto il suo fulgore il battito antico degli anapesti.

Rintronava tutto, mentre la folla si prendeva per mano e formava righe serrate, Sinistra sulla sinistra la destra libera: era la falange che prendeva forma, la falange che aveva portato la Grecia vincitrice sui campi di battaglia, che a maratona, a pochi chilometri da lì aveva permesso di scompaginare un esercito immenso di barbari…

La sicurezza retrocedeva, la porta era ormai indifesa. Nell’atrio si immolarono le prime centinaia di giovani, presi a randellate e portati via dalla polizia che era accorsa in forze ma troppo tardi. Come il battaglione sacro di Epaminonda si sacrificarono sino all’ultimo per permettere agli altri di entrare.

Con alte grida gli impiegati si strinsero al direttore, certi di venire assaliti dalla folla che ormai sciamava tra i letti e le cucine, mentre tartine e birre, crostini di segale e polpettine in salsa volavano da tutte le parti.

Ma non appena distribuitisi ovunque il rumore si affievolì di colpo, la corsa si interruppe tra le scansie, la folla si ruppe in gruppi e poi in tanti tantissimi singoli: chi guardava gli oggetti, chi li toccava, chi provava a leggere le oscure parole di una lingua barbara ma amichevole.

Erano gli Achei che avevano ritrovato dopo duemila anni le vie di un nord lontano, erano le rotte dell’ambra che tornavano alla Grecia. Erano i Cimmeri venuti di nuovo a commerciare in quell’Attica solare.

2007, inedito

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