PIEVE

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POLAROID

domenica 1 novembre 2009

VENDICAZIONI:IN FORMA DI PRESENTAZIONE

ISTRUZIONI PER L'USO

Un pesce enorme, goloso e cattivo sta per ingoiare una piccola barca: quella delle notizie false e confuse, della chiacchera inconcludente, dello sciocchezzaio. L'illustrazione, opera del pittore bolognese Bruno Pegoretti, rimarrà a lungo all'ingresso di questo blog, ma campeggia anche, se pure ridotta e meno leggibile, sulla copertina del mio libro di racconti che esce in libreria in questi giorni. Vendicazioni, appunto: brevissimi sketch, attraverso cui cogliere dolcissime vendette o prefigurare esiti più o meno catastrofici ad un mondo che forse è pronto a sostituirci con cani improvvisamente sapienti. Lo spirito acre e un pò astioso mi accorgo di averlo messo da parte solo quando diventano protagonisti uomini che con il loro fare producono senso e bellezza: artisti come Nicola Zamboni o Bino Bini aprono inaspettati scorci di un mondo diverso, e si placa il dispetto.
Il libro è pubblicato da Manni di Lecce ed una scheda succinta è disponibile alla pagina http://www.mannieditori.it/index_x.asp?id=1270&contenuto=dettaglio_libri.

QUALCHE CONSIDERAZIONE DI DETTAGLIO AD USO DEL LETTORE PAZIENTE

Questi brevi testi -esito a chiamarli racconti- nascono dalla convergenza di uno stato d'animo e di una riflessione critica sul senso della produzione letteraria oggi. Lo stato d'animo, innanzitutto: era, ed è, quello di una esasperazione indignata, di una insofferenza anche un pò sbrigativa nei confronti di forme di vita associata che deploro e detesto ogni giorno di più e che producono miseria, incomprensione, stupidità organizzata e trionfante, intolleranza, tutto tenuto assieme da quella presuntuosa ignoranza e dispetto per la cultura che sembra il tratto distintivo del medioevo prossimo venturo. Ho provato, nello scriverli, il gusto della vendetta della pazienza tradita, il piacere di dare forma sia pure appena abbozzata ad un giudizio sommario che scavalca e dimentica le analisi politiche, le ragioni di una critica a "questa" società che ho coltivato per decenni con studio, impegno,preoccupazione. E' uno stato d'animo prepolitico che non può che far ricorso a forme preletterarie, in cui la finzione narrativa e il gioco dello stile diretto e indiretto, le convenzioni sofisticate cui siamo ormai abituati, insomma tutto l'armamentario del "letterario", cedono alla rozza semplicità dell'invettiva, alla pura ostensività dei fatti, all'apologo. E alla forma dell'apologo ognuno di questi micro-racconti deve qualcosa. Se i fatti sono estratti perlopiù dalle cronache dei giornali locali (ma anche da racconti di amici o da alchimie del vissuto) è per l'assunto provocatorio che nelle notizie minime di vita quotidiana spesso si cela il senso di un giudizio storico severo, addirittura il segreto dell'idiozia universale, della invincibile renitenza dell'uomo associato all'esercizio della ragione e della memoria. Così talvolta il "quod erat demonstrandum" finale si fa palese, assumendo la forma di un sarcastico motto di spirito, di un amaro rendiconto; talvolta rimane implicito in uno sconfortato suggello, come chiusura improvvisa del discorso quando le parole mancano. La mancanza di parole rimanda alla riflessione critica sulla letteratura. Se la forma appena sbozzata è la conseguenza in qualche modo obbligata dello stato d'animo di cui parlavo prima, essa ritengo sia anche, per vie diverse, il punto di approdo (meglio: uno dei possibili) di un modo di fare letteratura che provi a dare un senso ai suoi prodotti. Se la ragione latita, se la memoria si perde, se la sensibilità di tutti è sovrassaturata da impulsi segnali immagini che ci rendono incapaci di concentrazione di attenzione prolungata, insomma del paziente esercizio di quel rito in cui consiste la ricezione del testo, la sua lettura, il lento smarrirsi nei meandri della diegesi, il consapevole apprezzamento degli elementi connettivi che lo innervano e lo sostengono; se la fuga dal mondo in cui consiste la lettura e il suo piacere sono ostacolate e rese impossibili, che senso hanno le vecchie forme se non quello di ribadire e confermare la crescente divaricazione tra una minoranza sempre meno numerosa di lettori colti e addestrati (fatta in buona parte da addetti ai lavori) ed una stragrande maggioranza di analfabeti di ritorno, di anaffettivi per troppe stimolazioni, di ignari, di ignoranti? E' in questa divaricazione che intravvedo il nuovo medioevo, in questa crescente separazione tra i clerici e le plebi indotta promossa e voluta da una società dei consumi che si assume universale e pervasiva ma non per questo meno stolta. Di fronte a tanta abbondanza, a tanto clamore, a tanti segnali mi sono convinto che solo meno di tutto può aiutare: meno cose ma anche meno parole, ridotte all'essenziale, in forma di frammento. Sia la narrativa che la poesia dovrebbero a mio avviso misurarsi con una misura (di tempo di lettura, di attenzione, di nessi interni) fatta di poco, quasi di nulla. Icasticità, essenzialità, semplicità, brevità: togliere, levare, abbassare la voce, approssimarsi al silenzio. Questo mi pare oggi l'impegno più arduo per la letteratura.

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