PIEVE

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POLAROID

domenica 1 novembre 2009

MORTE DI RUPERT BROOKE

Rupert Brooke morì in un giorno di aprile del 1915, a ventotto anni, nel silenzio della baia di Tris Bukes, mentre il convoglio di cui faceva parte la sua nave era diretto verso l'insospettabile e inatteso macello di Gallipoli: inglesi e francesi avrebbero scoperto Mustafa Kemal e la rinascita turca e Churchill la sua prima sconfitta. Un destino derisorio l'aveva deposto nell'unica isola in cui un eroe omerico aveva tentato invano di sottrarsi alla guerra mentre lui ci sarebbe riuscito morendovi.
La nave ospedale aveva dato fondo in quell'ancoraggio tranquillo la sera prima, e Skiros era apparsa a lungo sfolgorante con le sue case bianche aggrappate al cono perfetto della montagna, illuminata con violenza dagli ultimi barbagli di sole mentre in basso la notte avanzava come un manto di velluto che ricoprisse in un silenzio stupefatto la terra.
Quello era l'Egeo, quella notte era quella cantata da Omero e fu l'ultima che vide prima dell'incoscienza e del riposo tra le ombre. Dimenticò insieme i mari del sud in cui aveva viaggiato, e la sua Taatamata, dimenticò di aver pensato di restare lì per sempre, come Stevenson che aveva invidiato e detestato, dimenticò i suoi vagabondaggi attraverso una Francia e una Germania ancora in pace, dimenticò il King's College e i suoi compagni e le serate alla Fabian Society e Ka Cox.
Dimenticò tutto per concentrarsi su quella baia immortale cui non sapeva di essere destinato, sulla notte che scivolava sulle rena bianca e così incredibilemte fine. Come un vaporoso tappeto tra il nero del mare e il verde cupo della macchia profumata di timo: e su quella rena vide le orme di piccoli piedi, e udì lo scalpiccio di fanciulle che correvano, e le loro grida di gioia a giocare, rincorrersi e afferrare Achille cui nel turbinio di quel girotondo si sollevavano le vesti femminili.
Quelle cosce muscolose, quei genitali intravisti: non era stato meglio amare gli uomini? Le donne lo avevano solo fatto soffrire, lo avevano deluso, abbandonato. Fece in tempo a cogliere in quel silenzio che circondava la nave, ora che si era quetata ogni manovra, la voce di William Browne che gli recitava i suoi versi:
If I should die, think only this of me:
That there's some corner of a foreign field
That is for ever England. There shall be
In that rich earth a richer dust concealed...

A Skiros, in una piazzetta affacciata sul mare, in cima al paese, la statua di un giovane guarda verso la distesa di luce che si apre tutto intorno: Magazià e la spiaggia subito sotto e più oltre, a perdivista, il blu inebriante attraverso cui traspare nero il profilo accennato delle altre isole.
E' Rupert Brooke, bello come un Apollo, il poeta più generoso d'Inghilterra, come avrebbe poi detto Yeats. Anelava a morire sul campo di battaglia ed era invano sopravvissuto alla ritirata dalle Fiandre, aveva molto amato, molto viaggiato e aveva già detto tutto nella poesia che aveva scritto l'anno prima, con cui inconsapevolmente aveva chiesto ciò che non voleva.

Era la poesia che la sera di quell'aprile gli stava sussurando Browne per aiutarlo ad intraprendere un troppo lungo viaggio. Lui era quel corpo inglese, e poco dopo lui sarebbe stato quella polvere così ricca. Come un eroe omerico la mattina dopo lo avrebbero bruciato su una pira di legno d'ulivo trasformando per sempre un angolo di Grecia, nella baia incantata di Tris Bukes, in un pezzo di Inghilterra.

Prima di morire, nella notte, avrebbe udito un grido di civetta e immaginato Atena che lo chiamava. Capì troppo tardi che gli dei talvolta esaudiscono i desideri dei poeti alla lettera.

inedito

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